Il vampiro

Il vampiro Book Cover Il vampiro
John William Polidori
Studio Tesi
2009
9788876925856

Nel 1816, il giovanissimo dottor Polidori, medico personale di George Byron, accompagnò l’artista in un viaggio in Europa. La sera del 15 (16) giugno, si trovavano ospiti di Villa Diodati, nei pressi di Ginevra, con Mary e Percy Bysshe Shelley e Clair Clairmont. La leggenda vuole che, su proposta di Byron, sull’onda delle emozioni derivate dalla lettura delle novelle dell’antologia tedesca “Fantasmagoriana”, i presenti si sfidarono a scrivere una ghost story. Mary Shelley elaborò il nucleo del futuro “Frankenstein”; Byron scrisse un frammento incentrato sulla cupa e contraddittoria figura di un undead, Augustus Darvell. Quel frammento, poi pubblicato come appendice al poemetto “Mazeppa”, non senza seconde finalità, ispirò la novella di Polidori. Byron aveva già evocato una figura di vampiro in “Giaour”, nel 1813.

Scritta in tre giorni, quando tra i due non correva più buon sangue (Byron si dilettava a chiamare l’ex medico personale “Polly Dolly”, forse a ragione), “The Vampyre” presentava una prima e fascinosa codificazione letteraria d’una antica leggenda diffusa in Oriente, tra gli Arabi, in Grecia, post-scisma, nella Mitteleuropa (si veda l’introduzione dell’autore) e – ad un altro, ma non meno importante livello – costituiva una stilettata all’immagine d’un riconoscibilissimo Byron, tradotto nello stravagante e dissoluto Lord Ruthven, protagonista dell’opera. Ruthven era stato il nome d’un’altra sua (indesiderata) incarnazione letteraria: nel romanzo “Glenarvon”, opera dell’amante ferita e tradita Caroline Lamb, pubblicato originariamente anonimo nel 1816.

Il Lord Ruthven di Polidori è un aristocratico di grande fascino; grande seduttore e fortunato giocatore. Spiegano Franci e Mangaroni nell’Antefatto dell’edizione esaminata: “Il Perturbante, il Diverso, l’Altro, il Trasgressore della Norma, come più piacerà definirlo al sapiente esercizio della critica, fa così irruzione nella quotidianità all’apparenza più rassicurante per assumere una fisionomia facilmente individuabile. Si può assistere così nel racconto quasi al gioco di una duplice metamorfosi: quella del villain tradizionale che prende le sembianze di un dandy della reggenza e quella di Byron che finisce per acquistare i tratti di un mostro (…)”. (p. XX)

Ruthven ha modi stravaganti e misteriosi natali. Appare durante un inverno nei salotti più eleganti di Londra. Conquista i suoi ospiti per il suo talento di conversatore, e per il magnetico sguardo. I suoi occhi grigi attraggono e soggiogano ogni donna. E sgomentano chi viene osservato: “coloro che avvertivano questa sensazione di paura, non sapevano spiegarsene la ragione: alcuni la attribuivano a quel suo occhio grigio e freddo come la morte che pareva posarsi sui volti senza penetrarli e che giungeva, invece, fino ai più riposti congegni del cuore. Lo sguardo di lui, in effetti, colpiva come un raggio di piombo che pesava sulla pelle senza attraversarla” (p. 11)

Il Lord è un giocatore invincibile: tuttavia dona tutto quel che guadagna. Preferibilmente ai viziosi, che – a dar retta al narratore – tendono successivamente a precipitare ancor più nell’infamia. Il suo viso è d’un pallore miracolosamente invariabile. Ha bei lineamenti. L’identikit può fermarsi qua, memorizzare a dovere quel che Polidori ha descritto servirà per evitare sorprese: piacevoli o meno sta al lettore stabilirlo.

L’ingenuo Aubrey è il suo alter ego (parrebbe, oltretutto, che in questo romantico personaggio si rifletta il narcisismo del povero Polly Dolly): è descritto come un gentiluomo, orfano, alfiere dell’onore e della purezza, convinto che i sogni dei poeti siano realtà viva. Questo sincero spirito di nuvoletta deriva, presumiamo, da una ricca eredità che Aubrey s’appresta a godere, dividendola con l’adorata sorellina. Al principio della nostra storia, il tenero alter-Polidori s’appresta al Grand Tour per iniziarsi al libertinaggio, come ogni giovane rampollo della buona società inglese. Astutamente, sceglie il dissoluto Lord Ruthven come compagno di viaggio: pur persuaso che il pallido e carismatico suo mentore avrebbe rifiutato, si trova, con discreto stupore, a vedere accettata la sua proposta.

A Roma, nei salotti della migliore (?) aristocrazia capitolina (ma non si doveva far libertinaggio con le popolane?), Aubrey sventa (provvisoriamente, e proditoriamente) la seduzione d’una giovane eletta: Ruthven, perplesso, prende atto che il viaggio di formazione è naufragato. I due si separano: Aubrey si rifugia in Atene, al fianco d’una creatura descritta come una sorta di ninfa, splendida e dallo sguardo “intensamente spirituale” (immaginiamo). Misteriosamente, per una fortuita coincidenza, a spezzare il suo sogno d’amore (ma non si doveva rivelare crapulone?) appare l’algido Ruthven.

Non intendiamo rovinare, al lettore ancora all’oscuro della vicenda, il piacere di godere dei talenti mimetici, metamorfici e meravigliosi del Lord: e delle sue impeccabili strategie di seduzione e rappresaglia. Sappiate che, pur ferito da una pallottola, appare indifferente al dolore: e che, una volta morto, non muore. E non crediate che sia incapace di vendetta: vampirizza rispettando un disegno; e il fanciullino moralista, che muore di rabbia (rottura d’un vaso sanguigno), grottesco e patetico s’arrende alla sua grandezza. Vroucolocha, Vardoulacha, Nosferatu, Goul, Dracula, Broucoloka: il Vampiro ha più nomi del maligno. S’aggiunga, senza esitazione, la voce “Byron”.

Con buona pace dell’involontario evangelista, il plagiario John William Polidori: scrittore grezzo e disordinato, dallo stile sghembo e bizzarro, che per un insolito arabesco del destino s’è guadagnato la memoria dei posteri. E il loro sarcastico studio.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE.

John William Polidori (Londra, settembre 1795 / 1821), medico e scrittore inglese. Figlio di Gaetano Polidori, segretario di Alfieri, primo traduttore del “Castle of Otranto” di Horace Walpole.

John William Polidori, “Il vampiro”, Studio Tesi, Pordenone, 1984. A cura di Giovanna Franci e Rossella Mangaroni. L’edizione ospita un Antefatto, una Nota bibliografica, il frammento-matrice di George Byron, l’apocrifo “La sposa delle isole” e una Appendice dedicata alla diatriba sulla paternità dell’opera, contenente frammenti del diario e lettere di Polidori e Byron.

Prima edizione: “The Vampyre”, in “New Monthly Magazine”, 1819, a firma George Byron.

Gianfranco Franchi, maggio 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.