Il tesoro dei Medici. Collezionismo a Firenze dal Quattrocento al Seicento

Il tesoro dei Medici. Collezionismo a Firenze dal Quattrocento al Seicento Book Cover Il tesoro dei Medici. Collezionismo a Firenze dal Quattrocento al Seicento
Filippo Tuena
Giunti
1987
9788809760325

Prima d'essere considerato “uno dei nostri scrittori più inquieti, se non inquietanti” [Andrea Cortellessa,«TTL»] e “uno degli scrittori italiani fondamentali degli ultimi anni” [Andrea Tarabbia, «L'indice dei libri»], padre di un grandissimo libro [più d'uno dice “capolavoro”], fresco di recente nuova edizione [“Ultimo parallelo”, Rizzoli, 2007; Saggiatore, 2013, per volontà di Giuseppe Genna] e di almeno un altro libro memorabile [“Michelangelo. La grande ombra”, Fazi, 2001], Filippo Tuena, narratore e antiquario italiano classe 1953, era un apprezzato saggista. Nella bandella del suo esordio da narratore, “Lo sguardo della paura” [Leonardo, 1991; Premio Bagutta Opera Prima], viene presentato come “autore di numerosi saggi sulle arti applicate, in particolare rinascimentali, pubblicati in volumi d'arte, cataloghi e riviste specializzate, fra cui «Antologia di Belle Arti», «Xenia», «Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz» «Casa Vogue Antiques» e «Art & Dossier»”.

E allora, prima di cominciare a scandagliare la seconda, imprevista e fortunata carriera dell'artista capitolino, milanese d'adozione, di sangue triestino e svizzero, volevo dedicare qualche parola a uno dei più popolari risultati del primo, misconosciuto (ammettiamolo) e rimosso Tuena: vale a dire “Il tesoro dei Medici. Collezionismo a Firenze dal Quattrocento al Seicento” [Giunti, Art & Dossier, 1987; 1998].

Naturalmente non ho nessun titolo per entrare nella materia esposta dal saggista, né ne ho una pur vaga pretesa; ovviamente, ho sfogliato e poi letto questo “Tesoro” in cerca di tracce di bello stile, stravaganza e letterarietà. In cerca, in altre parole, di prodromi del secondo Tuena, quello che abbandonò la fortunata attività famigliare in via Margutta per “correre dietro alle chimere dei libri”, come scrisse Giovanni Urbani. E qualcosa ho trovato, al di là della prevista, grande erudizione e di quella che m'è suonata ordinata, composta esposizione. Ho trovato una piacevole sensibilità per l'aneddotica, qualche scanzonata aggettivazione; e addirittura l'epifania della categoria del free-lance in contesto rinascimentale. Più di quel che speravo.

Quando Tuena racconta la collezione medicea, alla terza generazione, s'emoziona riferendo che Lorenzo, appena ventiduenne, “aveva finalmente acquistato il famigerato 'Palladio' («fra le altre il calcidonio») che il Niccoli aveva ritrovato per strada”: poco prima, l'antiquario aveva infatti riferito che era “rimasto famoso il modo in cui Niccolò Niccoli, noto umanista e collezionista fiorentino di testi classici, entrò in possesso dell'intaglio raffigurante 'Diomede che trafuga il Palladio': camminando per strada, incontrò un fanciullo che ci giocava. Lo ottenne subito per una cifra irrisoria, e lo rivendette poco dopo, con grande guadagno”. Episodio, direi, al limite della novella boccaccesca.

Più avanti, raccontando Francesco I [1541-1587], “figura fondamentale per la fortuna delle pietre dure a Firenze” e le sue particolari passioni per l'alchimia, l'oreficeria e le arti occulte, in poche battute Tuena schizza la grottesca, fascinosa personalità autoriale di Bernando Buontalenti, architetto ufficiale del granduca, “suo precettore artistico fin dall'età di quindici anni e suo accompagnatore in numerosi viaggi. Alcuni suoi disegni ci dimostrano come fosse particolarmente attivo nell'ambito delle botteghe, fatto peraltro confermato da tutte le testimonianze, che gli attribuivano la scoperta di varie diavolerie, come la fusione del cristallo di rocca e la conservazione del ghiaccio sottoterra. Al di là di questa letteratura fantasiosa, la sua cifra stilistica resta sempre riconoscibilissima [...]”.

Altrove, Tuena esemplifica un caso di proverbiale lentezza, tramite “l'ex voto di Cosimo II (granduca dal 1609 al 1621). Il malaticcio figlio ed erede di Ferdinando aveva offerto all'altare di San Carlo Borromeo a Milano un'opera in commesso per ottenere, tramite l'intercessione del santo, più salda salute. L'opera fu iniziata nel 1617 […]. Mancò forse la saldezza della fede in Cosimo, o il dono fu poco gradito in cielo; resta il fatto che il giovane granduca, inascoltato, cessò di vivere tre anni prima che l'opera fosse completata”.

Considerando che in edizioni come queste la scrittura sembra sempre poco più che una didascalia ai sontuosi apparati iconografici, può bastare: a testimonianza che il cantastorie s'era già appostato a dovere, nell'ombra, e si preparava a entrare in scena. Vale la pena ricordare, prima di congedarci, che esiste una diversa edizione del “Tesoro dei Medici”, pubblicata dalla De Agostini qualche anno più tardi, scritta da Tuena in collaborazione con Anna Maria Massinelli. Ha avuto quattro edizioni straniere. Nel dettaglio: “El tesoro de los Medici”, Madrid, 1992; “Treasures of the Medici”, Londra, 1992; “Le trésor des Médicis”, Parigi, 1992; “Skarby medyceuszy”, Varsavia, 1993. E via andare.

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Filippo Maria Tuena (Roma, 1953), scrittore e antiquario italiano, laureato in Storia dell'Arte alla Sapienza.

Filippo M. Tuena, “Il tesoro dei Medici. Collezionismo a Firenze dal Quattrocento al Seicento”, Giunti, Firenze, 1987. Ultima ed.: Giunti,1998. ISBN: 9788809760325.

Approfondimento in rete: Oblique + Wiki it

Gianfranco Franchi, “Lankelot”. Marzo 2013.

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