Il sogno dalmata

Il sogno dalmata Book Cover Il sogno dalmata
Fulvio Tomizza
2001
9788804505435

2001. Vedono la luce le ultimissime pagine di Tomizza: a due anni di distanza dalla morte dell'artista istriano, esce “Il sogno dalmata”, terzo e ultimo grande inedito, dopo il tenero e politico romanzo breve “La visitatrice” e la fragile raccolta di racconti “La casa col mandorlo”. Si tratta di un memoir: di una nuova, robusta e lirica meditazione sulle proprie origini, e del racconto d'un nuovo stadio della ricerca delle proprie radici. Uno potrebbe domandarsi, a questo punto, e con buone ragioni: ma Tomizza non era già tornato, e da un bel pezzo, nella sua amata terra rossa istriana di Giurizzani, dalle parti di Umago? E allora, a quale altra radice doveva tornare? Come vedremo, lo scrittore era infestato da un sogno più grande e più classico, se vogliamo: e cioè individuare la patria del suo ghenos; del capostipite della sua famiglia, presente in Istria sin dai primi anni del Seicento. Ma ci torneremo più avanti.

Va detto che “Il sogno dalmata” è, assieme, una fotografia della nuova metamorfosi balcanica avvenuta a una manciata d'anni di distanza dalla morte di Tito; vale a dire la nascita delle repubbliche indipendenti di Slovenia e di Croazia, e dei sempre più complicati – sino al disastro – rapporti tra croati e serbi. È, in questo senso, una rappresentazione fascinosa di come apparivano l'Istria e la Dalmazia nei primi anni Novanta, tra vecchia Jugoslavia e nuove repubbliche; è un commovente omaggio all'architettura e all'urbanistica veneta, viva e seducente e riconoscibile, sulla costa che va da Capodistria sino a Cattaro, e una tenera pagina di testimonianza di dialogo tra popoli diversi, vagheggiando un futuro che possa vederci nuovamente uniti, sotto una bandiera diversa e nuovissima. Parlando, magari, lo stesso dialetto.

Lascio l'introduzione al prestigioso critico letterario giuliano Elvio Guagnini: “«Il sogno dalmata» è una delle opere di cui Tomizza aveva disposto la pubblicazione, dopo averla messa a punto negli ultimi tempi della sua vita. Il dattiloscritto della versione definitiva di questo romanzo portava in calce, manoscritta, l'indicazione «aprile-giugno 1997» (poi ripresa nel testo a stampa). Il libro, che Tomizza «osava» - così aveva scritto nel 1999 - ritenere il proprio «capolavoro», venne pubblicato postumo nel 2001 e ha - per più versi - la fisionomia di un bilancio, di una sintesi, di un riepilogo della sua attività di scrittore, di documento testamentario. Il titolo indicato - in origine - era «Il sogno dalmata» oppure «Gli avi dalmati». Nella nota nella quale lo scrittore disponeva la sequenza delle opere ancora da pubblicare, questo romanzo veniva indicato come «Il sogno dalmata».” E così è stato pubblicato.

Il bravo Dario Fertilio, in questo ultimo Tomizza, ha riconosciuto, sul “Corriere della Sera”, “[...]l'eterno tema del «dove tornare», della patria istriana negata a chi è costretto a scegliere tra l'anima latina e quella slava, l'appartenenza all'Italia o alla vecchia Jugoslavia”.

Quindi, Fertilio ha rilevato: “C'è, poi, un tema storicamente più vasto, cioè l'ascendenza dalmata di tanti immigrati nei secoli scorsi in Istria, sotto la pressione delle invasioni ottomane, e il vago senso di nostalgia che ne deriva. Ma non si può trascurare la dimensione politica del racconto, là dove denuncia l'intolleranza jugoslava, e la sottile opera di corruzione realizzata dal regime negli animi dei contadini, spinti ad appropriarsi senza meriti di ciò che altri si erano acquistati con il sudore di generazioni. Il protagonista del romanzo, che sembra incarnare l'ideale di una nuova, originale «istrianità», è Tomizza ma al tempo stesso non è lui”.

E sull'onda di queste considerazioni non vi stupirà leggere, nel memoir tomizziano, un passo del genere: con un tono, peraltro, particolarmente convinto: “Tutti noi siamo di origine dalmata, e, come per addolcire la nostalgia del profugo, l'accortezza dei signori veneziani o la misericordia di Dio ha fatto sì che per quei fuggiaschi dalle violenze dei Turchi si scegliesse l'unico sito al mondo che dei paesi abbandonati costituisse una naturale, ignota propaggine. O sono stati i coloni esuli a renderla tale? O essi si sono qui concentrati, in questo trascurabile e non prospero lembo del Dominio veneto, appunto perché lo sentivano più famigliare di altri?” [Tomizza, “Il sogno dalmata”, p. 16].

Già: a fine carriera, e alla fine della sua ricerca, del suo cammino; una volta tornato nella terra degli antenati, tra gli istroveneti “rimasti”, i vecchi croati e i nuovi abitanti dell'Istria, spesso serbi o bosniaci o montenegrini, Tomizza aveva deciso che non bastava: voleva, come un salmone, risalire sino alle origini della sua famiglia. Almeno, per quanto possibile. E che vogliate crederci o no, che sia una forzatura o meno, che sia un gioco letterario o la fantasia di un vecchio, poco cambia: infine Tomizza s'era convinto che la sua origine, e quella di “tutti”, intendendo diciamo “tanti istriani”, era dalmata.

Venivano spesso registrati con cognome “Novak” - perchè erano “Novi”, non avevano documenti e non s'erano nemmeno registrati in comune. L'Istria, tra 1500 e 1600, era stata spopolata da un'epidemia di peste e di colera, e serviva manforte – serviva nuova linfa. E così, dalla Dalmazia, dalla Serbia, dalla Bosnia e dall'Albania, dalle nazioni balcaniche ferite e martoriate dall'aggressione turca, scampavano – e trovavano riparo lassù. A loro s'unirono i preesistenti veneti; rafforzati, nei secoli, da ripetute nuove emigrazioni di famiglie carniche e friulane; tutti culturalmente provenienti, in ogni caso, da radici latine antiche più di un migliaio d'anni. E in questo contesto, in Istria, nacque “la più spontanea e dolce bastardaggine del mondo”, scrive Tomizza, “favorita dai versanti originari di un identico mare e protetta da governi, il veneto e l'austriaco, abituati a tener sotto di sé mescolanze ben più scombinate. Sulle soglie del Novecento non vi era famiglia in grado di vantare tutta intera una nazionalità” [p. 27].

E questo valeva da Trieste in giù, con poche eccezioni; per tutta quella sponda dell'Adriatico. Nessuno nega che ci fossero borghi, paesi e città prevalentemente venete o quasi del tutto venete, e questo ben al di là della caduta della Serenissima, a fine Settecento: sarebbe antistorico e disonesto, negarlo; sarebbe irragionevole. Ma assieme bisogna ricordare che la particolare commistione etnica e culturale di cui parla Tomizza si faceva comunque prepotente subito fuori, nelle campagne, nei dintorni. Questa commistione era una ragione di fascino e di ricchezza. E di cultura, e di benessere. L'ossessione per le appartenenze a una o un'altra nazione in esclusiva – a una e un'altra cultura – ha finito per costringere larga parte del popolo istriano e dalmata alla diaspora; noi siamo nel momento storico in cui forse, con pazienza, con umiltà e con intelligenza, si può tornare a dialogare – ci si può ricominciare a mescolare. Questo Tomizza l'aveva capito. Questo, Tomizza, non si stancava di predicare. Forse sì – forse davvero – noi che abbiamo sangue istriano siamo tutti dalmati. E se interrogassimo i nostri antenati chissà in quante e quali lingue slave parlerebbero. Stesso discorso vale per tanti sloveni e tanti croati dell'Istria odierna, e per tutti i croati della Dalmazia odierna. Giochino a interrogare l'albero genealogico, magari correggendo i cognomi un tempo italiani, in qualche caso. Scopriranno ciò che già sappiamo: che separarci e giurarci nemici è stato sbagliato, è stato innaturale.

Grazie Fulvio – per tutto quel che ci hai insegnato; e per quel che ci hai ricordato. Sì, ritorneremo.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Fulvio Tomizza (Giurizzani di Materada, frazione di Umago, Istria, Italia; 1935 – Trieste, FV-Giulia, Italia, 1999), scrittore e giornalista istriano. Esordì, come narratore, pubblicando “Materada” nel 1960.

Fulvio Tomizza, “Il sogno dalmata”, Mondadori, Milano 2002. 9788804505433.

Prima edizione: Mondadori, 2001.

Approfondimento in rete: WIKI it / Istrianet / Corriere della Sera / Itinerari tomizziani a Trieste + Grazia Giordani

Gianfranco Franchi, maggio 2012.

Prima pubblicazione: Lankelot.

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