Il ghiottone errante

Il ghiottone errante Book Cover Il ghiottone errante
Paolo Monelli
Touring
2006
9788836535309

Ave vini color clari, ave sapor sine pari

“Il ghiottone errante” è destinato a quanti la pensano come San Grisostomo boccadoro: “Vinum dei, ebrietas opus diaboli est”, cioè il vino è divino, solo la ciucca è diabolica; è dedicato a quanti credono, con Confucio, che il gran ventre sia privilegio del grand'uomo; è pensato per chi creda che un vino onesto sia quello che non dà alle gambe o alla testa, preparando un sonno calmo, senza sogni, rigenerante come nient'altro. È consigliato a quanti esitano di fronte a certi frutti di mare, a Napoli, e poi si ritrovano ad aprirli e restano incantati da quella rosea delicatezza; così come esitano, a Venezia, davanti al riso nero dei calamari; e poi si tuffano.

È per quei politici che sanno che la Francia ha vinto più battaglie nel mondo con le sue bottiglie che con i suoi diplomatici; per quegli editori che sotto sotto sanno che esportare una buona bottiglia è importante come esportare un buon libro (soltanto che in una bottiglia si legge più facilmente); per quei pittori che vedono, nel risotto alla milanese, un “monte d'oro incorrotto, coronato dalle nevi del formaggio grattugiato”; per quei linguisti che ben tengono presente la differenza tra “soddisfatto” e “satollo”; per chi non ha dimenticato cosa significasse “andar per ombre”; per quegli aristocratici che non hanno dimenticato che ci si ripulisce la bocca col dorso della mano, e non con il tovagliolo, dopo aver bevuto, “ché non l'insipido della tela spogli troppo bruscamente le labbra del residuo gusto del vino”.

È per chi è nato due volte, “quando venni alla luce e quando cessai di essere astemio”, e per chi sa che un certo moscato d'Elba, oro-velluto, va gustato soltanto con le lumachelle alla maremmana, se no è inutile; per chi crede che un tempo l'Italia meridionale cominciasse quando “la bottega da barbiere incomincia a chiamarsi 'salone', là dove ci si imbatte nei primi uomini a cavalcioni di un asino, là dove il vino prende un suo caratteristico gusto grasso ed oleoso, sia esso asciutto, pastoso o sulla vena” (p. 93); è per quei romani che sanno che a Roma “non si deve mangiare che dove va il popolo, tunicatus popellus”, ché Roma ha “la cucina più plebea del mondo” (p. 99), e per quei napolitani che come sempre considerano “mangiare e bere pretesto di svago di vita, di spettacolo colorito”, (p. 132).

Infine, “Il ghiottone errante” è ideale per quegli scrittori che a volte hanno pensato “Con davanti una brocca di questo vino scrivo; debbo a questo vino, lettore, i puliti aggettivi, le vaghe immagini, i succosi paragoni che condiscono questa prosa” (p. 138). Amen.

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L'illustratore Novello, astemio, “stomacuzzo ladro e mal di denti”, accompagna Paolo Monelli, scrittore buongustaio e grande esperto enogastronomico, in questo atipico italianissimo grand tour: l'eccellenza tricolore in tavola, regione per regione. Raccontata con superba lingua letteraria. Che questo libro, oggi, sia pubblicato solo dal Touring Club è sinceramente uno schiaffo all'intelligenza e alla sensibilità estetica degli italiani. Questo libello è un delizioso monumento di letterarietà. Andrebbe esibito in tutte le biblioteche (e consultato; imitato; riabilitato; idolatrato, brindando) di chi ama la bellezza, la storia e la bontà. Dei piatti, e delle bevande.

Tappe del viaggio: Barbaresco, Barolo (“il più gran vino del mondo: lo ha detto lo storico Cibrario, esploratore di cantine per tutte le nazioni d'Europa; e bisogna credergli”), Caluso, Pescarenico, Conegliano (“Le osterie venete sono serie e severe”), Verona (“in una sola strada di Verona di osterie ce n'è 47”), Venezia, Sorbara, Bertinoro, Sestri Levante, Montepulciano (“non è d'ogni vino il re”), Roma, Orvieto, Montefiascone (…), Sutri, Sabaudia, Civitavecchia, Monte Porzio Catone (“borgata che è tutta un'osteria”), Castelgandolfo (“bevendo papaliter”), Albano, Ariccia, Marino, Littoria (Latina: “brillante d'insolente giovinezza nell'architettura rivoluzionaria, negli intonachi lisci e nei metalli, in odio ai vecchioni dell'arte e della vita”), Pescara (l'Abruzzo è “terra della feroce ospitalità”), L'Aquila, Ravello, Napoli (per imparare a “vivere spensieratamente la triste vita”), Palermo, Bari, e infine... Montecatini (“triste tempio d'una fastosità puritana”, per ripulirsi dai peccati) e poi Pietramala, tra il Passo della Futa e quello della Raticosa, per assaggiare tagliatelle così leggere e così immateriali che serve un fiasco di buon vino toscano per non volare via.

Tante tappe? Mai abbastanza: “Sono cento le specialità della nostra terra e cento i vini degni di essere bevuti; anche in questo campo la patria è doviziosa, stivata, satura, ci vorrebbe lo stomaco come una biblioteca, la pancia come una cantina piemontese, o come quella visitata presso Sorbara delle 200mila bottiglie l'una sull'altra in fila” (p. 107).

Omaggi letterari disseminati qua e là: Carducci (plurimo), Pascoli, Omero, Tassoni, Dante, Goethe, Boccaccio, Sacchetti, D'Annnunzio, Stendhal, Hans Barth (“Osteria”), la “Guida Gastronomica” del Touring, il poeta barese Michele Bellomo (“il pugliese non è un dialetto: è un modo di raddolcire e masticare le sillabe”, scrive Monelli), Leo Longanesi, Massimo Bontempelli.

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Qualche curiosità, prima di congedarci. Gli antichi Romani forse si intendevano poco davvero di vino: sostiene Montelli che a loro “piacesse denso e dolce, colato e smaccato; e ad ogni modo lo mescolavano con troppe droghe e foglie di nardo o di rosa o di croco; e ci mettevano l'acqua; uso che è rimasto in Romania, dove l'oste che vi mesce il vino si affretta ad adacquarvelo sotto gli occhi, nel bicchiere; e questo è uno dei più certi segni che a buon diritto quei balcanici si chiamano Romani)” (p. 12).

Le prime scuole di enologia italiane furono quelle di Alba, Conegliano, Avellino e Catania, fondate, “con saggio antivedere”, sulla fine dell'Ottocento (p. 20).

Cos'è un “culattone”? Un “fond d'bota” aperta qualche ora o qualche giorno prima – di barolo – destinato a far la gioia dei raffinati (e poi sveglia l'umor creativo, p. 20).

Orvieto ospita la più grande cantina d'acqua del mondo: il pozzo di San Patrizio (p. 95).

Modena è la patria del “tàmpel”, ossia la canzonatura secca e feroce, figlia forse della cultura dell'osteria (p. 49).

Bologna è dotta proprio anche là dove è grassa (“perché inventora della mortadella e dei tortellini e delle tagliatelle asciutte e delle lasagne”, p. 64).

Alla Terranova e al Labrador chiamano pesce solo il merluzzo. Un'antica legge del luogo stabilisce che il salmone “is not fish” (p. 175). Per loro il merluzzo è “il pane del mare”.

Infine, saggezza alpina. “C'era una volta un maggiore degli alpini che alla fine di una bella bevuta, quando tutti erano in piedi per andarsene, chiedeva: 'Vogliamo proprio lasciarci come le bestie?' - e ordinava dell'altro vino; perché solo le bestie, diceva, si lasciano senza berci sopra ancora una volta” (p. 168). A ricordarlo, è l'alpino Monelli, combattente nella Prima Guerra Mondiale. Da leggere, punto. Peccato che non sia da mangiare.

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“Forse qui Dante dissetossi? È fama infatti che Dante abbia bevuto di questo vino, in una delle tappe del suo esilio, recandosi presso i bibaci Scaligeri; e forse, seduto ad una tavola come questa, in un'ora come questa, la fronte tra le mani, vedendo la cenere dei monti diffondersi sul lago e nell'aria, solo brillare immobile l'oro del vino, ne trasse malinconica dolcezza, l'ingannevole speranza di rivedere un giorno il suo bel Sangiovanni” (Paolo Monelli, “Il ghiottone errante”, p. 48)

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Paolo Monelli (Fiorano Modenese, 1891 – Roma, 1984), giornalista e scrittore italiano, strenuo difensore della lingua italiana. Ufficiale nella Prima Guerra Mondiale. Fondò il Premio Bagutta con Bacchelli e Vergani nel 1926; collaborò col “Primato” di Bottai.

Paolo Monelli, “Il ghiottone errante”, Biblioteca del Vascello, Roma 1992. Illustrato da Giuseppe Novello. Tiratura limitata: 2000 esemplari. Collana Viaggi: Nuova Serie, 16.

Prima edizione: Treves, Milano 1935. In precedenza: “Gazzetta del Popolo”, a puntate.

Gianfranco Franchi, ottobre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.