Il generale Della Rovere

Il generale Della Rovere Book Cover Il generale Della Rovere
Indro Montanelli
Rizzoli
2001
9788817866798

Romanzo breve, storia e non pagina di storia, “Il generale Della Rovere” venne accolto, nel 1959, con diversi atteggiamenti: perché tendeva a mostrare il comportamento eroico d’un impostore caduto per patriottismo, o per coraggio, assieme ad altri sessantasei partigiani, a Fossoli. Spiega Montanelli nell’Avvertenza: “Questo breve racconto non pretende di essere assolutamente vero, sebbene abbia per protagonista un personaggio realmente esistito: il pregiudicato Giovanni Bertone, da me conosciuto nel carcere di San Vittore nel 1944 come generale Fortebraccio Della Rovere, fucilato a Fossoli insieme a sessantasette detenuti il 12 dicembre di quell’anno” (p. 15). Secondo Gianni Riotta, “(…) Il dibattito di questa stagione su passato e Resistenza è chiarito qui benissimo e senza malintesi e opportunismi: non angeli contro diavoli, ma uomini normali che combattono per una giusta causa contro uomini altrettanto normali che combattono per una causa malvagia. 'Il generale Della Rovere' è un capolavoro della nostra letteratura del Novecento. Come pochi altri volumi è romanzo politico. La cui finalità però si rivela etica, individuale. Il richiamo a noi tutti è di appellarci a quel che di positivo abbiamo dentro, non alle grandi sirene del presente, a chi non siamo, né potremo mai essere” (tratto dalla seconda di copertina)

Da membro d’una generazione nata a quasi trentacinque anni di distanza dall’accaduto, leggo questo romanzo ascoltando “Povera Patria” di Franco Battiato, e ne vaglio le relative interpretazioni politiche con qualche perplessità, perché onestamente m’appare lineare e evidente il senso primo dell’accaduto: il sedicente generale Fortebraccio Della Rovere, in realtà comune criminale di guerra, si ritrova, per via d’un accordo con i nazisti, a vivere una nuova identità e ad assumere un nuovo ruolo, in un carcere speciale: e tanto aderisce a questo nuovo ruolo e a questa nuova identità che tradisce i nazisti, ed eroicamente finisce fucilato tra i partigiani prigionieri, che avevano preso ad amarlo e ad additarlo come esempio di resistenza al nemico.

Dov’è lo scandalo, dov’è l’anomalia? Nessuno studioso di sociologia può sottovalutare l’impatto che l’assunzione non solo d’un nuovo ruolo, ma d’una nuova identità può avere su un individuo: figurarsi in un’opera letteraria, trasfigurazione d’una realtà che non potrà testimoniare nessuno, interpretazione d’un’interpretazione. L’intento di chi sta scrivendo queste pagine è molto semplice: restituire questo romanzo ad una più adeguata collocazione letteraria, alienandolo dal dibattito politico e dalle faziose letture d’ogni parte; quando non si tratta di sciacallaggio, o di argomentazione sul nulla, si va confondendo questo scritto con la storiografia e con l’agiografia postuma, propria d’ogni colore partitico; io dico di lasciare il romanzo breve di Montanelli alla Letteratura, e invito gli scalmanati a scannarsi come preferiscono, armandosi d’altri testi.

A questo punto, spogliando il romanzo della falsa questione politica, accade che ci ritroviamo per le mani un libretto figlio d’un “trattamento” destinato a una traduzione cinematografica: orbo di descrizioni, spoglio di introspezione, giocato per bozzetti, fiammate dialogiche, farraginosa sovrapposizione di scene; narrate in una lingua molto asciutta ed essenziale, priva di qualsiasi seduttività e di qualunque fascino. Come possa Riotta definirlo capolavoro è un dilemma che ci porteremo sin dentro la fossa: dubitiamo della qualità delle sue letture, e ci limitiamo a prendere atto che a giudizio di questo intellettuale contemporaneo questa novelletta d’un piccolo borghese che si sacrifica nel nome del suo nuovo ruolo meriti d’essere tramandata alle prossime generazioni. Francamente giudico sconcertante pensare che questo romanzo possa sopravvivere all’autore e ai suoi amici e nemici: non certo per l’argomento, che pure può rivelarsi interessante e fertile, ma per come è stato espresso; con un cupo, trattenuto risentimento, con un sarcasmo e una malizia che s’intravedono ad ogni manciata di pagine, con la segreta – chissà – aspirazione a demistificare la “sacralità” dello spirito e della condotta dei liberatori, negli anni della guerra civile. Insomma: lasciamo ai cultori dell’intelligenza di Montanelli la dedizione e l’adorazione di questo testo: noialtri limitiamoci a leggerlo e a domandarci quanto depressa e fragile potesse essere la sensibilità degli italiani se un testo del genere, quarantacinque anni fa, poteva andare a irritarli o a colpirli nell’intimo.

Il libro è suddiviso in due parti. La prima, brevissima, narra l’epilogo della vicenda: nel giugno 1945, l’ex capitano Montanelli va a poggiare un mazzo di crisantemi sull’unico dei sessantotto feretri dei fucilati di Fossoli che nessuno, nel Duomo di Milano, va a benedire o a omaggiare. È il feretro del “generale” Della Rovere, “amico intimo” di Badoglio, catturato in Liguria quando s’apprestava – questa la vulgata – ad assumere il comando della Resistenza nell’Italia settentrionale. Nel carcere di San Vittore, scintillava per eleganza e per stile: profilo aristocratico, guance rase, pantaloni stirati, unghie nette; parlava dando del “lei” ai suoi interlocutori, a dispetto del “tu” generalizzato; asseriva, con fermezza, che un ufficiale fosse “fidanzato della morte”, e che dunque dovesse essere pronto a cadere in qualsiasi momento. Prega Montanelli di fare uno, e un solo nome, se fosse torturato: il suo. E sostiene che solo un dovere rimanga, quello di “morire bene”. Quando il narratore lo informa d’aver avuto un’opportunità di fuga, egli lo conforta e lo invita a non sciuparla.

Nella parte seconda, scopriamo che questo generale altri non era che il meno illustre cittadino Bertone, portato a mutare nome e tonaca con facilità tutta italiana, già noto per truffa, rapina, bigamia, spaccio di droghe, circonvenzione di incapaci, estorsione di denari ai parenti dei prigionieri (millantando credito come “amico degli ufficiali tedeschi”) e via dicendo. Assisteremo alla sua cattura da parte dei tedeschi, al raggiungimento d’un accordo con loro, alla prima accettazione del patto e alla successiva abiura: Bertone morirà da eroe, agli occhi dei concittadini incarcerati, rifiutandosi a un tratto di essere quel che in passato era stato: un profittatore, e un infame. Tuttavia mi sembra chiaro che andare a leggere questa sua scelta come improvvisa illuminazione patriottica o come inattesa folgorazione d’un neo-Innominato non sia del tutto convincente: non escluderei che chi aveva sognato per una vita intera d’essere altro da sé non abbia potuto, in un accesso di fanatismo, precipitare assieme alla sua maschera. Assumerlo come eroe non è pacifico, salutarlo come anti-eroe neppure; tenderei a rinviarlo agli studi dei sociologi della Letteratura come esempio e campione di trasformismo, e di paradossale fedeltà alla “poetica della menzogna” della coerenza con un abito.

Un romanzo lineare, ma piuttosto incolore: schiaffetto alla mitologia della Resistenza, non oltraggio alla memoria di nessuno; in fin dei conti, quale che sia stata la logica del personaggio (e del cittadino Bertoni), sta di fatto che ha perduto la vita per questa sua “coerenza”: sembra che il Dio dei cristiani abbia pietà di chi si pente, e a lui va affidato. Gli dèi della letteratura hanno diverse pretese, e nel nostro Novecento salutano altri artisti come padri di capolavori: me ne parlò un grammatico di Münchausen, qualche anno fa, mentre discutevamo della canonizzazione di Baudolino.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Indro Montanelli (Fucecchio, Firenze, 1909 / Milano, 2001), giornalista e scrittore italiano. Fondò il quotidiano “Il Giornale” nel 1974.

Indro Montanelli, “Il generale Della Rovere”, Edizione speciale per il Corriere della Sera, RCS, Milano 2003. Prefazione di Sergio Romano. Con un’intervista di Michele Brambilla all’autore (dicembre 2000).

Prima edizione: Rizzoli, Milano 1959.

Gianfranco Franchi, novembre del 2004.

Prima pubblicazione: Lankelot.