I proscritti

I proscritti Book Cover I proscritti
Ernst von Salomon
Baldini & Castoldi
2013
9788868520175

Quando Carlo Mazzantini lesse questo libro “lo assorbivo con voluttà, mi ci perdevo dentro, mi inebriavo di quella torbida atmosfera di sangue e di violenza. Non sembrava nemmeno un libro, tanto intensamente lo vivevo, ma brandelli della mia stessa vita” (“A cercar la bella morte”, 1986, p. 172). Per Alain de Benoist, in queste pagine c'è chi ritrova “la ripugnanza per l'umanesimo e le istituzioni borghesi (…), l'amarezza, il gusto della guerra e la nostalgia dell'azione” (“Visto da destra”, 1981; cfr. p. 423 di questo libro). Questo libro è destinato a chi ama “l'eterno romanticismo dell'azione”, concludeva. L'eterno, l'eterno romanticismo: dell'azione. Perfetto.

Cos'è “I Proscritti”? È il grande libro di una generazione di patrioti tedeschi, soldati innamorati della Nazione e della Patria, che rifiutarono la sconfitta del 1918 e si dedicarono, anima e corpo, alla rinascita della loro amata Germania. Precipitarono nella violenza e si ritrovarono a uccidere compatrioti responsabili, secondo loro, di avallare la sconfitta della Nazione. Si dispersero, infine, e si ritrovarono a pagare la loro visione del mondo e della realtà in galera, negli anni Venti. Intanto, la Germania cambiava: precipitava nelle mani di un austriaco, megalomane e schizofrenico, pazzo di sé stesso e del sogno della sua grandezza; quell'uomo avrebbe portato al massacro generazioni di tedeschi, al fronte, nel nome dei suoi deliri di onnipotenza, sporcando per sempre la sua patria di colpe imperdonabili, dannando i suoi alleati all'autodistruzione. Ma questo romanzo finisce molto prima di tutto questo; finisce prima che tutto questo potesse essere pensato. E racconta la storia di quelli che proprio non avevano accettato la sconfitta nella Prima Guerra Mondiale; di quelli che proprio non volevano riconoscere i nuovi trattati di pace; di quelli che preferivano morire piuttosto che vivere in miseria, e da vassalli dei vincitori. La scrittura di Von Salomon è un capolavoro di intensità, sentimento e dedizione alla causa. Impossibile sentirsi estranei al suo amore per la Patria, per la Nazione, per la militanza. Non c'è uomo che leggendo questo romanzo non possa sentire, a un tratto, desiderio di combattere per la Nazione. Contro tutto, contro tutti. Con onore. In questo senso, “I Proscritti” è un capolavoro assoluto. Necessario, folgorante, irripetibile. Maschio, e universale. Una lezione di dedizione alla Patria, sbagliata a tratti e per questo fascinosa e destinata a animare una dialettica senza fine. Ma quanto sensata, quanto opportuna, quanto giusta. Quanto contemporanea.

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Berlino, dicembre 1918. Von Salomon ha sedici anni. Liceale, appartiene alla Settima Compagnia della Reale Accademia Militare Prussiana. La Germania è stata sconfitta: il Kaiser è fuggito, ha abdicato. Il mondo di cui il narratore è parte sta precipitando nella polvere. In città, mentre i rossi socialdemocratici festeggiano la loro vittoria, ci si prepara ad accogliere i francesi, i vincitori della guerra. Qualcuno pensa che siano meglio loro, i vincitori, i massacratori dei compatrioti, dei rossi: perché quella là è gente che marcia solo per fame, per stanchezza, per invidia, non per ideale. E “sotto questi segni nessuno ha mai vinto”, scrive l'artista tedesco. Lui li disprezza, non li tollera. Sogna una reazione eroica: sogna un'impossibile rinascita tedesca. Una ribellione, e infine la vittoria. “Sarebbe stato uno scopo più alto che conservare la nostra condizione attuale; ci avrebbe dato l'onore di una missione, avrebbe tolto alla disperazione il suo riflesso corrotto e fatto zampillare l'odio nostro e la nostra fede da cespugli e da siepi, da ogni finestra e da ogni porta. Chi avrebbe potuto opporsi alla nostra rivolta? (…) Bisognava osare!” (pp. 21-22). Osare. Osare. Osare.

Tornano le truppe dal fronte, sconfitte ma non vinte. Marciano, ma come un simbolo di orrore e di morte: il narratore si domanda perché non festeggino il ritorno in casa. Una Compagnia intera è ridotta a tre plotoni. Il reggimento sfila, cupo e freddo, muto, solitario. Improvvisamente, il narratore capisce.

“Quelli non erano operai, contadini, studenti; non erano artigiani, impiegati, commercianti: erano soldati. Non fantocci, non subordinati, non messi: erano uomini che obbedivano alla voce segreta del sangue, dello spirito; uomini indipendenti, che avevano conosciuto una dura solidarietà, e trovato nella guerra una patria. Patria, famiglia, popolo, nazione: pronunciate dalle nostre bocche le grandi parole avevano un suono falso. Perciò i reduci non volevano mescolarsi a noi; questo esprimeva la loro muta, potente marcia di fantasmi” (p. 30). Erano diventati loro, la patria. Von Salomon decide di arruolarsi il giorno dopo: per diventare come loro, per essere soldato.

Gennaio 1918. In piazza, arrivano giovanotti con giubbe militari grigie; sbuffando s'affaccia un camion, una bandiera rossa gigante sventola, nell'aria le note dell'Internazionale. La gente, in piazza, chiede pane, pace, libertà. Chi è armato s'accorge dei soldati. Conflitto a fuoco. Sembra finire là. Qualche giorno più tardi, la repressione del governo uccide Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht, assieme ad altri spartachisti. Terribile.

I soldati vanno, casa per casa, a disarmare la gente. C'è qualche cittadino, ideologizzato, che dice loro qualcosa di terribile: siete disprezzati e sfruttati, siete i difensori dei delinquenti responsabili della guerra, unitevi a noi; diventate compagni. Al termine delle perquisizioni, quel giorno, due soldati disertano.

Gennaio 1919. Appena eletta l'Assembla Nazionale Costituente, riunita a Weimar, qualcuno suggerisce che l'esercito si raduni nei villaggi, e non in città; la propaganda spartachista fiacca il loro morale. In quel periodo, si cominciano ad arruolare Corpi Franchi per la difesa dei confini orientale: sono “soldati reduci dal fronte, studenti volontari, allievi dei licei, cadetti, ufficiali, operai, contadini, artigiani e soldati di mestiere”, al soldo del governo.

Partiti per il fronte, sono loro stessi, adesso, il confine (p. 59). E puntano alla difesa di Riga. I bolscevichi, nel Baltico, massacrano intere famiglie di tedeschi; stuprano e uccidono le donne e massacrano gli uomini, rovesciandoli sui cadaveri delle loro compagne o delle loro figlie. Il narratore e i suoi compagni smaniano per fronteggiarli. Lui viene catturato, sta per essere fucilato ma viene portato in salvo dagli amburghesi. Ha sentito la morte vicina, non gliene è fregato niente. “La morte non esiste” (p. 76), ha pensato. Intanto, a Riga, capitale della Lettonia fondata, costruita e abitata da tedeschi, le cose sembrano mettersi male. Strategicamente, i soldati diventano cittadini lettoni; l'ultimo pezzetto di fronte tedesco sa solo che “Siamo soldati tedeschi che nominalmente non sono soldati tedeschi e proteggono una città tedesca che nominalmente non è una città tedesca. E laggiù ci sono e lettoni e estoni e inglesi e bolscevichi...” (p. 82).

Partiti per difendere i confini, conquistano una provincia. E sono decisi a tenerla, per rispettare i caduti. Ma l'Intesa ordina lo sgombero, e il Reich lentamente cede, e rinuncia. È il 23 giugno 1919. I soldati si sentono abbandonati. Non possono più stimare la patria perché amano la nazione: non sono più tenuti insieme da un ordine più alto, né da soldo e pane. E allora si ribellano all'ordine, e pensando a una nuova Germania – una vera patria in cui riconoscersi – rimangono al loro posto. E diventano russi: alleati con i russi delle guardie bianche, in funzione anti-bolscevica (e anti-inglese). Le cose vanno male, e al ritorno in patria ancor peggio, per il terribile clima interno alla Germania ferita. Von Salomon riesce a scampare – unico dei suoi compagni – alla prigionia, e si ritrova a consolarsi coi libri (legge Rathenau, Holderlin, Spengler, Dante, Shakespeare) e a cercare pace con qualche lavoretto qua e là. Fraternizza coi reduci di guerra, per quanto possibile: le idee politiche e i sentimenti di ogni individuo sono molto diversi, in comune c'è soltanto una sensazione di tradimento, o di inganno. Inaccettabile.

“Le associazioni patriottiche crescevano come i funghi dopo la pioggia, radunando tutti i credenti delle classi sconvolte. Dappertutto si trovava lo stesso miscuglio di uomini e opinioni. Tutti i brandelli e i frammenti dei valori e delle ideologie, delle nozioni e dei sentimenti superati che era stato possibile salvare dal naufragio, si mescolavano con le affascinanti parole d'ordine e con le mezze verità del giorno, con vere intuizioni e giudizi confusi” (pp. 186-187)

Intanto si innamora di una donna, LEI, destinata a diventare sua futura moglie; e, assieme ai reduci, va a difendere la nazione in Alta Slesia, va a difenderla dalle rivendicazioni polacche. Sconfitti, rimangono per due mesi da quelle parti fingendosi braccianti. È il 1921. Lo spirito degli ex ufficiali dell'esercito imperiale è questo:

“Non sono sopravvissuto. Il nove novembre del 1918 mi sono sparato, come ordinava l'onore, una pallottola alla testa. Sono morto; quello che vive in me non sono io. Da quel giorno non conosco più un io. Non voglio esser da meno di quei due milioni di morti. Sono morto per la nazione, e dunque ogni cosa in me vive solo per la nazione. Non sopporterei che fosse diversamente. Faccio quello che devo. Poiché dovevo morire, muoio ogni giorno (…). Non mi rimane che consacrarmi al mio bel destino implacabile” (p. 269). Il destino implacabile suggeriva a Kern, l'ufficiale non sopravvissuto al 1918, che il grande nemico fosse diventato l'intellettuale Walter Rathenau, politico democratico, carismatico e cosmopolita, fedele alla “politica di adempimento” dei trattati di pace; ebreo, e per questo odiato dai reazionari antisemiti con maggior intensità. Rathenau cadde. E poi cadde anche Kern.

Von Salomon soffre: è caduto il nemico ed è caduto l'amico. Si sente male, si sente privo di senso. È come se il suo mondo si fosse autodistrutto. Qualche tempo dopo, è l'intero gruppo di ribelli, gli ex combattenti dei Corpi Franchi, a essere incarcerato. Proscritti. Estreanei alla nuova Germania. Suoi nemici. Nemici della patria, loro che adoravano la Nazione.

Von Salomon spiega che la cella... “M'insegnò la ripugnanza delle cose fatte senza un senso d'intima necessità, m'insegnò a capire l'odio che costringeva gli oppressi – per valorizzare al massimo la liberazione del lavoro imposto – a pensare materialmente quando avrebbero dovuto pensare metafisicamente, a sognare la felicità al posto del destino” (p. 316). Dopo un anno, la cella, “nemica di ogni gioia, possedeva una forza raggelante che non sopportava dentro le sue quattro mura senza rapporto nessun elemento estraneo” (p. 322). Unica consolazione, l'immagine dell'amico morto. Mentre si trova in galera, qualcosa di più terribile ancora sta accadendo in Germania; Hitler si avvia a prendere il potere. Per quelli come von Salomon non è detto che sia giusto, e forse non è affatto un bene. La patria si avvia al martirio, e all'autodistruzione, e alla futura umiliazione del Muro. Ma questo, nel 1930, lui non poteva saperlo. Sognava la libertà: sognava la grandezza nuova della sua Nazione.

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Secondo Giaime Pintor, “I Proscritti furono coloro che, nutriti di odio e disprezzo, vollero portare alle estreme conseguenze il germe della rovina e varcarono senza esitare le soglie dell'Apocalisse. Reduci dal fronte, che la guerra aveva consunti ma che dalla guerra, come vizio insanabile, non sapevano più staccarsi, adolescenti cresciuti lontano da ogni scuola di umanità, idealisti e avventurieri, si riconobbero in una missione comune” (Quarta dell'edizione Baldini, 1994). Scriveva invece Mario Bernardo Guardi: “Von Salomon è la nuda estetica della guerra e della guerra civile; è l'ascesi di una giovinezza dura e cupa, piegata dallo sbigottimento dinnanzi a un ordine infranto; eppure tesa ad esprimersi, con una franca ferocia vitale e pre-ideologia che è comunque barbara consapevolezza del nemico da abbattere, crudele riconoscimento della necessità di affermazioni empie, che strazino l'individuo per ridargli il diritto di riacquistare la 'pietas' comunitaria, la patria perduta che si compiace del suo immenso Nulla” (pp. 424-425). Del suo, immenso, nulla. Punto.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Ernst von Salomon (Kiel, 1902 – Stoeckte, Winsen, 1972), scrittore, sceneggiatore e soldato tedesco, membro dei Freikorps.

Ernst von Salomon, “I Proscritti”, Baldini & Castoldi, Milano 1994. A cura di Marco Revelli. Traduzione di Maria Napolitano Martone. In appendice: “Ernst von Salomon: le patologie dell'alterità” di Marco Revelli, e una Cronologia. Collana Romanzi e Racconti, 19.

Prima edizione: “Die Geächteten”, 1930. IT: Einaudi, 1943.

Gianfranco Franchi, novembre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.