Gli uomini chiari

Gli uomini chiari Book Cover Gli uomini chiari
Renzo Rosso
Einaudi
1974
9788806393625

Raccolta di undici racconti di Renzo Rosso, pubblicata da Einaudi nel 1974, “Gli uomini chiari” è stato il quarto libro di narrativa dell'artista triestino. Nella bandella, Italo Calvino scriveva che “Con questo libro, confermando la serietà del cammino intrapreso negli altri suoi, egli si classifica come uno scrittore che non somiglia a nessuno: un'immaginazione sempre ad alta tensione, nutrita insieme di precisione intellettuale e di accanita immedesimazione nel vivere la storia naturale e la storia umana come offesa, dilaniamento, strazio”.

Questo è, in effetti, un libro di narrativa apocalittica, disperata e dis-integrata: non c'è spazio per la speranza, non c'è spazio per la solarità, non c'è spazio per l'amore. Tutto, il mondo animale e quello vegetale, così come quello umano, sembra esistere per confliggere, per distruggere e per autodistruggersi. Non è soltanto nichilismo a dominare e guidare la mano dell'artista giuliano; è il male a ispirarlo, un male assoluto e invincibile, che tutto ha inquinato, la patria e la società, Dio e le piante, il futuro e il passato. Un male, saggio ricordarlo, fortunatamente ed esclusivamente letterario: vuoto di verità incontrovertibile, denso di sofferenza e sangue dell'umanità.

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Qualche nota sui testi più interessanti. Il racconto eponimo, “Gli uomini chiari”, è un erudito omaggio all'“Odissea”: protagonista è l'aedo Femio, detto “il bruno”, tra gli ultimi di una razza quasi estinta dallo sbarco nell'isola di quei forestieri biondi e pallidi, dagli stani culti. Canta per loro con malessere, sin quando non torna Odisseo. La strage dei Proci è leggendaria; Femio, che non aveva ucciso né schernito gli uccisi, e tutto aveva visto, cade infine morto. L'ultimo pensiero va all'origine degli uomini chiari, “figli di Persefone e di un serpente, usciti dall'inferno; avrebbero corrotto e annientato la natura intera” (p. 65).

“La medusa” è – sospetto – un hapax nella narrativa italiana: per la prima volta, una di quelle tristi bestie è protagonista d'un (brevissimo) racconto. In lei l'acqua sente tutta se stessa: e dall'acqua la medusa non avrà altro che “una prossima, indifferente, incompiuta definizione” (p. 47).

“I gabbiani” è una prosa lirica e violenta, tutta descrittiva. Volano sin quando non incontrano una nave dal ventre squarciato, che va vomitando fumo e fiamme. Planano pensando d'aver trovato da mangiare, ma gli squali stanno già tingendo di rosso il mare. E così, “Cacciando con ali prudenti e rabbiosa fame, dimenticarono il sole, finché se lo videro inaspettatamente quasi sotto di loro, nel riflesso perfetto – rosso, ellittico e fermo – della macchia laccata”.

“A Cuerta, A.D. 158...” è la storia d'un frate spagnolo protagonista d'un sinistro rogo durante l'Inquisizione. Rosso ci fa sprofondare nella psiche d'un assassino fanatico, nel nome d'un Dio decisamente diverso dal nostro. Eppure, dando fuoco all'eretico, ecco che il frate domanda gloria per il mondo intero al Signore degli umili: e invoca il perdono per quel peccatore che sta uccidendo, sollevandosi “all'altezza dello spirito della carità, e dell'amore”. Grottesco.

“Le formiche” è l'allegoria delle rivoluzioni e delle catastrofi, e della quiete apparente dopo la tempesta. È un'allegoria giocata servendosi d'un espediente classico come il mondo animale. A dispetto dello spavento e del disastro, le formiche si rimettono al lavoro ricostruendo, passo dopo passo, il loro vecchio formicaio; senza badare al fatto che tra di loro appaiono due formiche ben diverse, non proprio mutanti – evolute, diciamo. Ancora disastri naturali e allegorici nel manierista “Il campo”.

“L'etiope” è la storia dell'operaio Tarphis, povero e onesto, costretto a sopravvivere lavorando in un cantiere, in condizioni inadeguate e disumane, per la costruzione delle piramidi. Soffre la pioggia, il poco cibo, l'ozio. Si ritroverà scuoiato vivo dalle guardie del re.

L'ultimo, freddo e gelido racconto è “Patria”. È una sorta di pièce teatrale, ambientata in uno sfondo beckettiano, minimale, misero, spoglio; nata, sembra abbastanza chiaro, per fare a pezzi l'angoscia d'esser vissuti sotto un regime rivelatosi liberticida, e disgraziato. La mia sensazione è che sia una delle più sferzanti, crude e caustiche satire del fascismo. Scriveva Luigi Compagnone, sul “Corriere della Sera” del 26 agosto 1974, che in “Patria” “(...) non si fa mai il nome Italia, il nome Roma, il nome fascismo, dato che lo 'scandalo della storia', e della nostra storia, ci viene rappresentato, come ha scritto Calvino, con una lunga sdegnata didascalia teatrale dove maschere di guardiani e di servi si preparano riluttanti a uno spettacolo che forse non avverrà mai. (…) Il grand-guignol della nostra storia è stato colto da Rosso nel momento più accecante del suo orrendo spettacolo; un gotico degradato da buffonesche apparizioni. Da comiche insudicianti epifanie. Dall'improvviso balletto mimato e danzato del Buffone Padre….. Né nomi, né conclusioni nella "storia" o spettacolo di Renzo Rosso. Anzi esso non è mai avvenuto, ne abbiamo visto soltanto la didascalia, i colori, le orride maschere, e al momento del crollo, quattro nuove figurazioni, quattro cani emersi da una botola, gli occhi rossi di odio contro i loro grotteschi, feroci custodi ” (fonte: sito di Rosso).

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Stilisticamente, “Gli uomini chiari” è il libro di Rosso più vicino alla poesia, alla poesia in prosa; è una poesia maligna e immonda, infame e cupa, e tuttavia sgorga con naturalezza, con intensità accecante, con vera personalità autoriale. L'uniformità della raccolta sta nella sua dedizione al lato oscuro delle creature viventi, tutte, quasi a voler comunicare al lettore che la natura ogni cosa decide, e noi uomini altro non siamo che marionette: opporci alla natura è soltanto faticoso, è un esercizio sterile, un esercizio che al limite fa letteratura. Perché la storia, come insegnano gli strani, antichi e modernissimi “Cavalieri” di Rosso, sembra tinta dello stesso orrore. È rossa del sangue di tutti.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Renzo Rosso (Trieste, 1926 – Tivoli, 2009), scrittore e drammaturgo triestino. Laureato in Filosofia con tesi su Antihegel e Hegel in Kierkegaard, fu dirigente RAI. Esordì pubblicando “L'adescamento” nel 1959.

Renzo Rosso, “Gli uomini chiari”, Einaudi, Torino 1974. Bandella di Italo Calvino.

Approfondimento in rete: WIKI it

Gianfranco Franchi, “Lankelot”. Marzo 2010

Notevole raccolta di racconti di Renzo Rosso…