Fughe incrociate

Fughe incrociate Book Cover Fughe incrociate
Fulvio Tomizza
Bompiani
1990
9788845244070

1990. Lo scrittore istriano Fulvio Tomizza, cinquantacinquenne, pubblica il suo diciannovesimo libro di narrativa: “Fughe incrociate” è una debole, grigia e trascurabile rilettura di due altrimenti oscure e ovviamente rimosse vicende di conversione religiosa seicentesca: quella del cittadino ebreo Mandolino, da Sacile, e quella del cittadino cristiano Leandro Tisanio, da San Vito al Tagliamento. Secondo il critico letterario Giulio Nascimbeni, “qui la conversione si stacca dalle folgoranti sfere dell'illuminazione divina e si adegua alle cadenze della vita di due paesi veneti: più che altari incontriamo botteghe artigiane e banchi dei pegni, in un turbinio di voci e sospetti che mai assurgono alla violenza del dramma. Le stesse ombre dell'Inquisizione restano in una cauta distanza, senza la livida ossessione degli spettri. Eppure, la conversione di Mandolino e di Leandro risveglia, per opposti motivi, antiche diffidenze e ostilità di razze, malinconie di esilii e di segregazioni; e solleva partecipazione umana allo sgomento dei famigliari abbandonati, padri e mogli, che di quel distacco e di quell'oblio sembravano farsi una colpa” [fonte: quarta di copertina Bompiani, 2009].

Il problema è che in questi due racconti tomizziani non c'è nessuna poesia, e non sembra nemmeno esserci particolare ispirazione. La scrittura è farraginosa, spesso incresciosamente fredda, e comunque estranea a qualsiasi, pure vaga, partecipazione emotiva; le vicende narrate non presentano particolari ragioni di fascino, al limite possono puntare a fare colore – a essere ragione di potenziamento del folklore. Ma è chiaro che questa ambizione può nutrirla forse più il segretario della pro loco di Preganziol, o di Codroipo, piuttosto che l'artista già capace di parlare al cuore del suo popolo, e dei lettori di tante diverse nazioni. Eppure, siamo proprio da quelle parti – la prospettiva è più o meno coincidente, e così la qualità della scrittura. Amatoriale, e nel senso deteriore del termine.

In più di un frangente il lettore cede di schianto di fronte a una noia che sarebbe giusto chiamare sbalorditiva – se non fosse quella, ben nota ai lettori di Tomizza, già conosciuta all'altezza del disastroso “L'ereditiera veneziana” [1989] e del ciclopico e bolso librone sul vescovo eretico Vergerio, “Il male viene dal Nord” [1984]. Nei momenti migliori, e cioè nei momenti meno anonimi, della narrazione, tornano in mente le più dignitose, ma comunque opache, pagine di narrativa storica tomizziana: “La finzione di Maria” [1981], primo romanzo di questa tediosa serie, e l'antologia di sempre seicentesche, caratteristiche vicende eretiche di Dignano “Quando Dio uscì di chiesa” [1987]. Personalmente, non riesco a capire perché lo scrittore materadese abbia insistito così tanto a dedicarsi a vicende davvero marginali e prive di ragioni di fascino, dimenticando i suoi talenti, le sue attitudini e le ragioni prime della sua consacrazione alla letteratura (cfr. almeno l'esordio, “Materada” [1960], il successivo “La ragazza di Petrovia” [1963] e l'ambizioso spaccato istriano “La miglior vita” [1977]): è come se scrivendo questi mediocri librotti di narrativa vegliarda avesse raccontato quanto cupa e nera fosse la noia che animava certi periodi della sua vita, e quanto insensata la quantità di tempo libero dedicata a ricerche del genere.

Quanto diversa poteva essere la vita letteraria di Tomizza, se invece di trasformarsi in un pallido e glaciale topo da biblioteca [negli scaffali sbagliati...] si fosse dedicato, faccio per dire, a raccontare e romanzare le storie degli istroveneti “rimasti” in Istria e a Fiume, o dei dalmati di Zara; oppure, a scrivere storie di città che potevano e dovevano, e potrebbero e dovrebbero, parlare per sempre al cuore dei veneti e dei romani, come Pola, come Rovigno, come – che so – Pirano. Quanto poteva essere più affascinante, finita l'epopea dell'esodo, prendere e romanzare le storie dei popoli jugoslavi nostri vicini di casa, sloveni, croati, serbi e montenegrini, insegnando agli italiani a dialogare con loro. O magari – con coraggio suicida – Tomizza poteva scrivere una biografia di Tito, e cioè del grande nemico degli istroveneti, dei fiumani e degli zaratini, cioè del grande amico dei comunisti e dei socialisti di tante nazioni, Italia inclusa. Tomizza invece sembrava essere rimasto prigioniero del secolo più incolore dello scorso millennio, il Seicento, e di personaggi anonimi di quel secolo già incolore voleva fare narrativa.

C'è qualcosa di onestamente autodistruttivo in questo assurdo spreco di talento, di tempo e di intelligenza. Parte delle ragioni del malessere e della frustrazione dell'artista, passati i quarant'anni, verranno in parte chiarite nel successivo libro, il memoir “I rapporti colpevoli”: la mia congettura è che questo malessere si sia perfettamente espresso nella sequenza di romanzetti o romanzacci storici di serie B o C pubblicati nell'arco di venticinque anni.

In ogni caso: punti “Fughe incrociate” quel lettore, già davvero appassionato di colore veneto, che vuole andare incontro a un'esperienza estetica discreta e alla narrazione di due vicende di conversione religiosa, in un contesto sociale decisamente più severo e rigido di quello odierno. Nella prima vicenda raccontata, quella dell'ebreo Mandolino, ashkenazita, d'antenati tedeschi (Mandel), s'apprezzano in particolare una buona descrizione di Sacile [p. 16], buone annotazioni sulla facilità di “rieducazione al cristianesimo” nella Venezia dell'epoca, con tanto di direzione di convertito d'eccezione (tale Eusebio Renati) e sulle casistiche classiche dei processi dell'Inquisizione; nella vicenda del cristiano Leandro, invece, buone le meditazioni sullo spirito nobile della religione e della cultura ebraica [almeno pp. 138-139] e le descrizioni delle case degli ebrei di San Vito – delle loro biblioteche in particolare.

Tutti gli altri guardino pure, serenamente, istantaneamente, altrove.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Fulvio Tomizza (Giurizzani di Materada, frazione di Umago, Istria, Italia; 1935 – Trieste, FV-Giulia, Italia, 1999), scrittore e giornalista istriano. Esordì, come narratore, pubblicando “Materada” nel 1960.

Fulvio Tomizza, “Fughe incrociate”, Bompiani, Milano, 2009. In appendice, bibliografia. ISBN, 9788845244070.

Prima edizione: Bompiani, 1990.

Gianfranco Franchi, aprile-maggio 2012.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Debole, grigia e trascurabile rilettura di due altrimenti oscure e ovviamente rimosse vicende di conversione religiosa secentesca…