Frecce avvelenate

Frecce avvelenate Book Cover Frecce avvelenate
Renzo Paris
Bompiani
1974

Terzo romanzo di Renzo Paris (esordio con “La stanza”, 1971; quindi, “Cani sciolti”, 1973, ma scritto nel 1970 circa; quarto sarà “La casa in comune”, 1977), “Frecce avvelenate” (Bompiani, 1974) è la trasfigurazione del dolore d'un ragazzo, alter ego del narratore, per la sua partenza dall'amato Abruzzo alla volta di Roma. Un dolore attutito e ammorbidito appena dalla scoperta del sesso, dall'ossessione per la masturbazione, da qualche equivoca amicizia maschile, che rimane irrisolta e inespressa (sempre per quella “mancanza di coraggio per andare fino in fondo” già nominata in “Cani sciolti”), e dalla presenza forte e sensuale della madre, trait d'union tra i due mondi: la perduta terra marsicana e l'abbracciata vita piccolo borghese nell'Eterna.

Ricoverato in ospedale, deperito e stanco (tifo o tonsillite, i medici non capiscono), l'anonimo narratore immagina attorno al letto i ragazzi della banda: Grande Zorro e il suo luogotenente Tex stanno (idealmente) là per fargli capire che ha tradito, e che la deve pagare. Il vecchio, pazzo Fattura, intanto, ricoverato al suo fianco, vede il diavolo dappertutto. Sa che il demonio viene da terre lontane: dall'America. E sa che “vende tutto quello che vuole venderci. Ci compra e ci vende e noi non possiamo dire niente” (p. 12): e come se non bastasse si prende gioco della nostra memoria. Il narratore ascolta, e interiorizza. Scrive un piccolo grande libro di memorie, per farsi nemico quel diavolo e raccontare com'era la sua vita prima delle sue prepotenze. Scandagliando la memoria, sente non poco dolore e molta confusione.

Il narratore è un ragazzino che sta scoprendo il sesso, e domanda consiglio alla madre. Ricorda quel che accadeva qualche anno prima, in Abruzzo. Bambino, vuole stare con una sua coetanea, Cinzia, che in qualche maniera è già riuscito a vedere nuda; ma intanto sogna di sposarsi la mamma. La mamma ride, e poi gli insegna: sposarsi non vale la pena, “più tardi possibile, meglio è”.

Cinzia è la sola bambina che va a scuola con loro. Loro sono quelli che abbiamo imparato a chiamare “Ballatroni”. I ragazzini non le danno tregua: le tirano su il grembiule, la sottanina, le danno pizzicotti sul culo, cercano di spogliarla nei casali, barattano sbirciate o palpate come possono.

Nel presente della narrazione, ambientata all'ospedale, il narratore, ragazzo, incontra – simbolicamente – un'altra Cinzia, ricoverata per un'appendicite. I due, tra mille difficoltà, riescono a scambiarsi qualche promessa; sognano di trovare tempo per starsene un po' da soli. Purtroppo lei viene trasferita, e lui allora scrive la sua prima lettera mai spedita: prima di una serie che includerà Cinzia (la prima Cinzia), Grande Zorro, Tex. “La mia vita è costellata di assenze. La lettera ricordava i suoi capelli, i suoi dialoghi spezzati, il suono leggero della sua voce. Ma le parole non riuscirono a dire nemmeno l'ombra di quel mio stato d'animo misto a furore” (p. 74).

Il romanzo sembra non avere né principio né fine. Gioca per commistioni di memorie – erotiche, tendenzialmente; incluse quelle para-omoerotiche legate a Sfinge, un borghese adolescente romano – sino all'ultimo ricordo di Celano, prima della partenza. Un bambino del gruppo viene sodomizzato dal capo del branco, e il branco si ribella, quasi a voler difendere la propria innocenza.

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Sento di poter dire che “I ballatroni” sia andato decisamente più in profondità rispetto a “Frecce avvelenate”, raccontando l'ultima estate di questi ragazzi e del narratore; senza nascondere aspetti erotici e sensuali, e mantenendo un ordine e una struttura più forti e credibili. Per un bilancio definitivo della vicenda amorosa ed esistenziale di Paris, “La vita personale”, suo ultimo romanzo (2009) rimane il must: è senza ombra di dubbio il suo miglior libro, in assoluto. Quanto a “Frecce avvelenate”, riconosco che non è nato come esercizio di stile, ma direi che s'è rivelato una prova prodromica ad altre, più compiute e mature. In un certo senso, è stato riscritto e riallineato trenta o trentacinque anni dopo questa sua prima pubblicazione: una Bompiani, 1974. Sospetto “Frecce avvelenate” rimarrà materia per cultori della scrittura di Paris o per filologi in cerca di nodi da stringere tra un momento e l'altro della sua narrativa. La trilogia marsicana ha infine messo il punto su questi primi, vaghi e sensuali ricordi: l'autore, sì, nel tempo ha avuto il coraggio di andare fino in fondo, nell'abisso della sua memoria; ne è derivata letteratura notevole. Questo conta.

EDIZIONE ESAMINATA E BREVI NOTE

Renzo Paris (Celano, 1944), romanziere, poeta, saggista e traduttore italiano. Professore di Letteratura Francese all’Università di Viterbo; ha insegnato a Salerno. Ha collaborato o collabora, sin dagli anni Settanta, con “Repubblica”, “Manifesto”, “Nuovi Argomenti”, “Pulp”.

Renzo Paris, “Frecce avvelenate”, Bompiani, Milano, 1974.

Gianfranco Franchi, aprile 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

La trasfigurazione del dolore d’un ragazzo, alter ego del narratore, per la sua partenza dall’amato Abruzzo alla volta di Roma…