Franziska

Franziska Book Cover Franziska
Fulvio Tomizza
Mondadori
1997
9788804580577

1997. Lo scrittore istriano Fulvio Tomizza, sessantaduenne, pubblica il suo venticinquesimo libro: a un anno appena di distanza dal torbido e morboso “Dal luogo del sequestro” vede la luce “Franziska”, un buon romanzo sentimentale, nuovo omaggio alla comunità slovena e alla perduta grandezza degli anni asburgici. È un libro che spesso mostra il passo di un appassionante canovaccio cinematografico: Tomizza mantiene un discreto ritmo, nella narrazione, e si poggia, soprattutto nella prima metà del romanzo, su un buon numero di dialoghi, di apprezzabile fattura. La storia raccontata, quella dell'amore tra un'onesta, sensibile e romantica slovena e un debole, ingenuo e borghesotto ufficiale italiano, ha inizio negli ultimi giorni dell'Ottocento, a una manciata di passi dalla nascita di Franziska, e termina, cinque o sei passaggi di bandiere più tardi, nei primissimi anni Ottanta. Naturalmente, il periodo storico di maggiore interesse, per noi come per Tomizza, è quello che va dal 1900 al 1954; quel che succede dopo viene sfumato, nel romanzo, con una scelta allegorica abbastanza condivisibile. Viene sfumato non soltanto perché appartiene a un periodo della vita dei personaggi in cui la loro relazione s'è fatta non soltanto astratta, ma forse – come vedremo – del tutto monolaterale; viene sfumato perché, in fin dei conti, da quel momento entra in atto un equilibrio così stabile che è addirittura ancora adesso immutato, per la città di Trieste. Forse non è sempre un bene, ma non è questo che adesso ci interessa discutere.

La storia ha inizio nell'impero austroungarico, a Štanjel, odierna Slovenia: San Daniele del Carso. Ha inizio lassù nei giorni in cui un secolo sta per finire e una nuova era sta per avere inizio. Il vecchio imperatore Franz Joseph ha deciso di di manifestare il suo amore per i cittadini decretando la concessione del “suo personale padrinato, con speciale donativo di mille corone, a ogni suddito nato nelle prime sei ore del secolo Ventesimo”: mille corone, vale a dire, spiega più avanti Tomizza, una somma che pochi, tra i contadini carsolini, possedevano in contanti. Una somma che significava “dare una nascita senza precedenti” a un bambino, perché oltretutto proveniva da un padrino d'assoluta eccezione.

Frančiška Jožefa ha la ventura di venire al mondo in un momento così importante: ma la benedizione dell'imperatore non basta a impedire al destino di portarle via la mamma. Franziska viene battezzata con questo nome per rappresentare la lealtà e la fedeltà a un imperatore che era particolarmente benvoluto dagli sloveni: “L'imperatore vuole bene a noi sloveni. Le cuoche, le balie, le dame di compagnia dell'imperatrice e delle arciduchesse sono state e sono ancora tutte slovene”, come racconta una zia alla piccola Franziska.

Franziska è parte di un popolo che vivrà con maggiore sofferenza e angoscia, di lì a poco, i rovesci della sorte dell'impero asburgico: in parte perché ad ammazzare l'arciduca ereditario Franz Ferdinand e sua moglie, l'arciduchessa Sofia, sarà un serbo (“Sangue slavo sparso da mano slava, per nostra eterna vergogna!”); in parte perché, in diverse città storicamente care agli sloveni, come Trieste, l'avanzata interventista e irredentista italiana significherà il principio di grossi guai e di sciagurate sofferenze: la comunità slovena viene vista, a un tratto, come una potenziale antagonista e non più come una probabile alleata; come una nemica e non più come una risorsa.

Franziska è una di quegli sloveni che per molto tempo non potrà vedere, se non con la fantasia e in qualche illustrazione, la sua terra: Tomizza così la descrive. “Le vallate attraversate dalla Drava, le tre vette del Triglav sempre ricoperte di neve, le cittadine antiche quanto la storia della sua gente: Ljubljana, Novo Mesto, Maribor, il castello di Celje, i tetti di Ptuj da dove si godeva la distesa ungherese” [p. 133].

Franziska è una che sogna di conoscere, in gioventù, le terre sorelle della Slovenia: la Croazia, la Serbia, il Montenegro del re poeta Njegoš. Per capirci: “Proprio in quei mesi, il monarca serbo proponeva la costituzione dello Stato degli Slavi del Sud, da qualcuno già chiamato Jugoslavia; chiedeva che esso comprendesse anche Trieste, Gorizia, l'Istria, le terre del Friuli fino al Tagliamento, il che le sembrava piuttosto esagerato e capiva perciò le reazioni dei nazionalisti triestini che giustificavano l'occupazione di tutto il territorio bagnato dall'Isonzo e rivendicavano all'Italia anche la Dalmazia”. Per Dalmazia si deve intendere tutto quel che era intorno a Zara: perché dell'italianità di Zara, città più veneta di tutte le città venete, nessuno poteva sospettare o dubitare. Ma insomma: Franziska non è nemica di nessuno dei popoli parte del mosaico asburgico; e sicuramente è aperta all'idea che le due nazioni destinate a nascere in quei territori, in sostituzione dell'impero, possano essere amiche e convivere civilmente. Ed è così aperta a quest'idea che finirà di innamorarsi proprio di un italiano: un ufficiale lombardo. Nemico del suo impero.

Lui è il tenente Nino Ferrari, da Cremona, giovane bruno, ufficiale del genio militare, erede di una famiglia di piccoli industriali. La prima volta che incontra Franziska sta dalle sue parti, a San Daniele del Carso: lui sta perlustrando la linea ferroviaria nemica, e lei s'è già adattata, con vera dedizione, a fare da infermiera ai tanti poveri ragazzi feriti. Franziska non capisce bene la lingua italiana, o forse non vuole capirla in quel frangente così delicato. Ma quando si ritroveranno in città, nel 1918, nella Trieste che sta ricominciando, faticosamente, a respirare, le cose saranno ben diverse. Almeno nei primi anni. Ma questo loro amore, che sembra così vero e così pulito, e così inevitabile, si spezza sul più bello, prima per la malattia di lui e per il suo congedo da Trieste, poi – forse, chissà – perché la fede nel loro sogno ha perduto forza; oppure perché il clima politico, in città, s'è fatto disastroso, per gli sloveni. Ma nel cuore di lei niente Muta: Franziska per anni continua a cercare Nino, a scrivergli, ad aspettarlo, a restargli fedele: incredula del suo egoismo, non capisce come possa rinunciare alla felicità, non capisce in nome di cosa sia nata quella strana incompatibilità. Franziska è l'espressione di una civiltà che credeva che fosse naturale che etnie e culture diverse coesistessero, e si amassero. Nino, invece, è figlio di una civiltà che crede d'essere maestra del mondo, e tende a sopraffare e assimilare tutte le altre. Forse il nodo è questo. Almeno in parte

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Tra le diverse curiosità contenute nel libro, ne ho scelte due, da condividere. La prima è legata allo “sparherd”: cos'era? Era il protagonista delle cucine, nei giorni dell'Austria: ci si metteva sopra la carne a “bollire per il brodo, pentoloni d'acqua per i crauti, i fagioli, le patate, trasformate poi in gnocchi e in kipfel col rispettivo gulasch”. Era un enorme fornello. È rimasto, nel dialetto triestino odierno, come “sparghèr”.

La seconda è il segreto di Cicio. Perché a Trieste si dice “Cicio no xe per barca”? Spiega Tomizza: “Cicio” è il nome con cui si rappresenta l'abitante dell'altipiano che da Trieste si estende a Fiume: tutta gente che non sa cosa sia il mare. Vedere il mare per la prima volta era, in quella società, in quella civiltà, un'esperienza incantevole, indimenticabile: “Tutta la disinvoltura dei triestini italiani, le loro provocazioni, l'impassibile gusto di deridere, si originavano dal vanto di affacciarsi a quello specchio azzurro, privo di delimitazioni, ai danni di quanti vi erano approdati dall'interno […] quasi fossero costoro a mettere in dubbio tale prerogativa, o a pretendere di competere con essa” [p. 73].

I lettori di Tomizza già sanno quanto “Cicio” fosse lo stesso artista padre di “Materada”; e quanto, per tutta la vita, abbia sentito sincera soggezione nei confronti della città di Trieste, e del suo straordinario mare, lui cresciuto in campagna, lui che sentiva Umago già qualcosa di esotico rispetto alla terra rossa di Materada. Insomma: “Franziska”, forse, è più tomizziana di Tomizza.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Fulvio Tomizza (Giurizzani di Materada, frazione di Umago, Istria, Italia; 1935 – Trieste, FV-Giulia, Italia, 1999), scrittore e giornalista istriano. Esordì, come narratore, pubblicando “Materada” nel 1960.

Fulvio Tomizza, “Franziska”, Mondadori, Milano 1999. ISBN, 9788804580577.  Prima edizione: Mondadori, 1997.

Approfondimento in rete: WIKI it

Gianfranco Franchi, maggio 2012.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Buon romanzo sentimentale, nuovo omaggio alla comunità slovena e alla perduta grandezza degli anni asburgici…