Follia? Vita di Vincent van Gogh

Follia? Vita di Vincent van Gogh Book Cover Follia? Vita di Vincent van Gogh
Giordano Bruno Guerri
Mondadori
2009
9788845263149

Il van Gogh di Guerri non è soltanto "padre della pittura moderna", protagonista dell'esplosione della forma e del colore, proto-espressionista e proto-astrattista; è un intellettuale consapevole, un cittadino ferito da una sensibilità eccessiva e un uomo di eccezionale spiritualità, attenuata appena dalle negative esperienze vissute in seminario e come evangelista, tra i minatori. Un artista che non fu affatto "il cantore della bellezza della natura"; piuttosto, scoprì "che la natura ha un'anima, e che quest'anima può essere invidiosa, meschina, cattiva, noiosa, come tutte le anime. Senz'altro è un'anima brutale, perché prima di tutto esiste e vuole esistere. Vive per vivere" (p. 33). Andava nei campi per dipingere la natura: per mostrarla orribile e cattiva così come la percepiva, per fronteggiare la paura e il dolore. Nei campi, in una buca di letame, si sarebbe, simbolicamente, suicidato (p. 130).

Il suo dramma fu non riuscire a conciliare il furore del genio con un minimo di normalità: la sua esistenza sembra passare tra intervalli di ricerca di linearità e ordine (esperienze lavorative giovanili come mercante d'arte all'Aia e a Bruxelles, Londra e Parigi; missione al fianco dei minatori), dettati probabilmente dalla piccola borghesia da cui proveniva, a progressivi strapiombi di dedizione assoluta e incrollabile all'arte, e alla creazione artistica.

Vincent "ha orrore di sé come di ogni forma di vita, e per questo si ucciderà. Scrive pochi mesi prima di spararsi: 'Dopo tutta una vita di ricerche, di lotta e corpo a corpo con la natura, voglio morire'. Si uccide quando finalmente capisce – e lo dimostra nell'ultimo autoritratto – che anche lui è come una radice" (p. 34).

Guerri è convinto che van Gogh non fosse pazzo; piuttosto, che fosse uno che aveva orrore della vita, e quindi degli altri e di sé stesso, "delle gioie come dei dolori": ciò "Vuol dire sentirsi di troppo, che tutto è troppo: ogni gesto, ogni desiderio, anche mangiare e fare l'amore, perfino creare diventa di troppo. È la certezza che niente valga la pena, pensiero di per sé sufficiente a perdere il senno e il cuore. Nel maggio 1890 scrive: 'Mi sento rovinato dalla noia e dal dolore" (p. 113).

Lo storico senese tende ad assimilare la sua esperienza esistenziale ed estetica a quella del suo grande ammiratore Artaud, artista massacrato da una diversa forma di pazzia (e dalla psichiatria, a volergli dare retta) e caratterizzato da un simile misticismo; in quanto artisti, avevano una forma di intelligenza e di sensibilità superiore, non lineare e non sempre accessibile, e sembravano rispondere a logiche e leggi extrasociali ed extratemporali.

Van Gogh morì suicida nel 1890, appena trentasettenne, sconosciuto (ma non ai pittori impressionisti francesi coi quali aveva collaborato, negli ultimi tempi; da loro, al limite, fu frainteso) e poverissimo; disgraziato, e portatore di disgrazia ai suoi famigliari, come il povero Theo, borghese e buon padre di famiglia. In vita era stato un parlatore timido e imbarazzato, presto più felice di parlare in francese che nella sua sgraziata lingua madre; era stato un formidabile camminatore, capace di macinare chilometri su chilometri, e un grande fumatore di pipa; estraneo ai piaceri della tavola, si nutriva con semplicità e senza mostrare nessun amore per i sapori diversi; era un gran bevitore e un mediocre lettore (p. 30), fermo all'epoca a Balzac, Maupassant, Hugo, Daudet, Dickens, Goncourt e Zola, ben distante dai maudit francesi e pieno di disprezzo per Baudelaire. Aveva smesso di studiare a quindici anni; parlava comunque tre lingue.

Sentimentalmente, van Gogh non ha mai avuto pace; qualche grande amore mai corrisposto, una sincera dedizione alle prostitute, l'amorazzo vagabondo e caotico per un'italiana di Francia, molto sensibile al fascino dei pittori, raccontano abbastanza della vita erotica di un figlio di un pastore protestante in terra cattolica, roscio, brutto e irascibile, con grandi difficoltà comunicative.

E tuttavia, questo incompreso sembra avesse le idee chiare sul suo talento, almeno da un certo punto in avanti: "Cosa sono io agli occhi della gran parte della gente? Una nullità, un uomo eccentrico e sgradevole, qualcuno che non ha posizione sociale né ne avrà mai una. In breve, l'infimo degli infimi. Ebbene, anche se ciò fosse vero, vorrei sempre che le mie opere mostrassero quello che c'è nel cuore di questo eccentrico, di questo nessuno" (p. 49).

Dis-integrato, dissociato e alienato dalla realtà, concentrato solo e soltanto sulla sua arte e sull'incapacità di sopportare le epifanie del male, e del dolore, mantenuto quando dal fratello quando da qualche benefattore, visse una vita "come discesa infinita" verso la fine, che si autoinflisse, come supremo atto di rifiuto di tutto; di sé, e dell'amico pittore Gauguin, che sempre l'aveva frainteso e mai del tutto amato; di sé, e del fratello mercante d'arte, che non aveva accettato o compreso la portata del suo genio; di sé, e dei pittori impressionisti: il suo mito, Cezanne, tendeva a considerarlo semplicemente un pazzo (p. 65). Visse e dipinse per dimostrare la brutalità dell'esistenza, sognando fino a quando ne trovò la forza una società di artisti isolata e distaccata da tutto, capace di autoalimentarsi e di mantenersi in vita. Invano.

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Com'era fisicamente? "Un volto grifagno e lentigginoso, le mascelle sfuggenti che fanno quasi paura, le gambe corte, le spalle larghissime e il busto spropositatamente lungo. I capelli rossi non rassicurano affatto, soprattutto quando sono la cornice di due occhi sempre spiritati" (p. 18). Riuscite, adesso, a immaginarlo davvero?

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Questo libro – racconta infine Guerri – ha un antenato, un padre e una madre. L'antenato è un suo romanzo andato distrutto, ridotto a cinquanta pagine di taglio saggistico. Il padre sono quelle cinquanta pagine, poi apparse nel grande volume illustrato "La mezza vita di Vincent van Gogh", per Leonardo Mondadori, nel 1990. La madre è una trasmissione di Radio2, "Alle otto della sera", dedicata a Van Gogh dal 25 febbraio al 21 marzo 2008: ne è infine derivato, per volontà di Elisabetta Sgarbi, questo libro.

Per appassionanti di Vincent, e per appassionati di Giordano Bruno.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Giordano Bruno Guerri (Monticiano, Siena 1950), scrittore, giornalista e storico italiano. Si è laureato in Lettere con una tesi su Giuseppe Bottai, poi pubblicata da Feltrinelli (1976). Già direttore del mensile “La Storia Illustrata” e de “L’Indipendente”, collabora col “Giornale”. Ha lavorato come redattore per Bompiani e Garzanti; è stato direttore editoriale Mondadori.

Giordano Bruno Guerri, “Follia? Vita di Vincent van Gogh", Bompiani, Milano 2009.

Gianfranco Franchi, novembre 2009.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Vincent “ha orrore di sé come di ogni forma di vita, e per questo si ucciderà. Scrive pochi mesi prima di spararsi: ‘Dopo tutta una vita di ricerche, di lotta e corpo a corpo con la natura, voglio morire’. Si uccide quando finalmente capisce – e lo dimostra nell’ultimo autoritratto – che anche lui è come una radice”