Dopo molte estati muore il cigno

Dopo molte estati muore il cigno Book Cover Dopo molte estati muore il cigno
Aldous Huxley
Cavallo di Ferro
2010
9788879070812

Sessant'anni dopo la prima edizione italiana (Mondadori, 1949) e quarantatre anni dopo la seconda e ultima edizione (Mondadori, Medusa, 1967), torna a disposizione dei lettori, nella nuova traduzione di Catherine McGilvray, per la Cavallo di Ferro di Roma, un misconosciuto, filosofico e densissimo romanzo di Aldous Huxley del 1939, “Dopo molte estati muore il cigno”. L'esperta di AH per eccellenza, Daniela Guardamagna, ricordava a suo tempo che “After Many a Summer, scritto con una certa rapidità nel 1939, è stato definito dall'autore una 'short phantasy', una 'wild extravaganza', 'contemporaneamente comica e ammonitrice, farsesca, agghiacciante e riflessiva', 'macabra' e 'improbabile', ma 'infinitamente meno' di quanto lo sia la vita” (fonte: “La narrativa di Aldous Huxley”, Adriatica, 1989, p. 135). Huxley aveva buona coscienza di sé, ed era onesto giudice dei suoi scritti. “Dopo molte estati muore il cigno” è una stravaganza senza ombra di dubbio, grottesca e liminare com'è, ma è riflessiva sino al parossismo.

Secondo la Guardamagna, l'opera è espressione di “una pessimistica fuga dalla normalità umana” e della “impossibilità di creare il bene nel tempo”. Huxley scelse il titolo per questo suo romanzo, fondato su una meditazione sull'innaturale smania dell'eterna giovinezza, e sull'immortalità, omaggiando Tennyson. Il poeta inglese cantava, in “Tithonus”: “The woods decay, the woods decay and fall / The vapours weep their burthen to the ground, / Man comes and tills the field and lies beneath, / And after many a summer dies the swan”. Vale a dire, “I boschi deperiscono morendo / i fiumi posano piangendo il loro peso / L'uomo viene, coltiva il campo e giace / Sotto la terra. E dopo molte estati il cigno muore”. E questo è quanto. Qualche cenno alla trama. Un vecchio miliardiario statunitense ossessionato dalla morte, Jo Stoyte, è il protagonista principe di questa farsa. Vive in un castello medievale “non per una volgare necessità storica, ma per puro divertimento e arbitrio, per così dire, platonicamente”. Ha abbastanza denaro da poter comprare qualsiasi cosa, e da poter dare lavoro a chiunque. Ingaggia un umanista inglese, Jeremy, e finisce per strapagarlo, perché possa studiare e sistemare a dovere un antico carteggio che nasconde un segreto non estraneo alla sua ossessione: l'immortalità. Stoyte ha qualcosa di sinistro, per noi italiani, per via dell'attualità delle sue manie: proprio come un famoso leader politico, sembra valutare la vitalità del prossimo sulla base della vita sessuale e crede nella democrazia soltanto a parole, perché di fatto è a capo di varie attività che vanno gestite in modo dittatoriale, e come gli dirà qualcuno “le persone a te subordinate sono costrette ad accettare la tua dittatura perché per vivere dipendono da te”.

Ha un'amante giovanissima, Virginia Maunciple, e la vizia come può, divertendosi a soddisfare tutti i suoi capricci. Almeno quelli. Nel frattempo, il cinico dottor Obispo lavora, per conto del sultano, per trovare la formula della longevità. È la materia dei suoi studi sin dalla laurea, e mentre s'avvicina alla grande rivelazione Obispo si dà da fare per tenere vispo e giovane il vecio: magari con iniezioni periodiche di ormone sessuale sintetico, tenendogli sotto controllo le arterie e curandogli a dovere i reni. Infine c'è l'illuminato letterato Propter, che vive in un bungalow nei pressi del castello e ha capito un sacco di cose della vita, dell'universo e di tutto quanto e ha una gran voglia di parlarne. E a noi tocca ascoltare.

Tre sono i livelli della narrazione: il primo è quello dei torrenziali discorsi di Propter, il secondo è quello della narrazione pura delle stralunate vicende del clan di Stoyte, il terzo è quello dedicato al prezioso manoscritto che Jeremy sta lavorando e restituendo alla luce. Secondo la Guardamagna, “i discorsi di Propter sono senza dubbio il grave limite stilistico del romanzo: condotti abilmente nel contrappunto con gli ascoltatori, variati con competenza dalla paradossalità delle soluzioni del personaggio (…) sono però quasi intollerabilmente estesi rispetto alla narrazione: costituiscono infatti quasi un quarto del romanzo” (p. 143). E in più d'un frangente finiscono per addormentare il romanzo, zavorrandolo. Peccato, perché l'intuizione originaria e la scelta dell'argomento potevano essere prodromiche a un libro memorabile, e non soltanto a un dignitoso esercizio di stile, con qualche ridondanza e troppi pleonasmi. Superbo invece il tempismo dell'editore capitolino Cavallo di Ferro: con un romanzo del genere, più d'uno dalle parti della ridente cittadina di Arcore riderà dell'uomo che vorrebbe vivere per sempre e per sempre restare giovane, amando ragazzine ed esercitando con disinvoltura il suo potere dispotico. Come personaggio, diciamo così, non s'è inventato proprio niente.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Aldous Huxley (Godalming, Surrey, 26 luglio 1894 / Hollywood, California, 22 novembre 1963), poeta, saggista e romanziere inglese.

Aldous Huxley, “Dopo molte estati muore il cigno”, Cavallo di Ferro, Roma 2010. Traduzione di Catherine McGilvray.

Prima edizione: “After Many a Summer Dies the Swan”, 1939.

Prima edizione IT, Mondadori 1949 col titolo “Dopo molte estati”. Ristampata nel 1967. Traduzione di Giacomo Prampolini.

Gianfranco Franchi, “Lankelot”. Novembre 2010

Prima pubblicazione in cartaceo: Secolo d'Italia, 20 novembre, pagine 8 e 9. Tutti i diritti appartengono al Secolo. L'articolo è poi apparso su Lankelot in versione leggermente più estesa.

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SEMPRE A PROPOSITO DI "DOPO MOLTE ESTATI MUORE IL CIGNO"...

1939. L'uomo che aveva già dato vita al "Mondo Nuovo" e che di lì a poco avrebbe scritto il suo secondo capolavoro, "La scimmia e l'essenza", pubblica un romanzo satirico e filosofico di onesta fattura e di robusti dialoghi sul senso della vita e via dicendo. L'editoria italiana se ne accorge di lì a poco: prima edizione Mondadori, 1949. Sessant'anni più tardi, il libro torna sui nostri scaffali dopo lunga assenza. A cosa dobbiamo la fortuna? Alla sua buona fattura? Non del tutto.

La storia è di straordinaria attualità, per noialtri italioti. Protagonista è un miliardario americano con tre chiodi fissi: le ragazzine, l'eterna giovinezza e il denaro. Ossessionato dalla morte, a dispetto d'un mausoleo nei paraggi del suo castello, il signor Jo Stoyte ricorda uno dei cofondatori di un partito brianzolo d'ascendenza tunisina (Hammamet). Attorno a questo grosso miliardario, inevitabilmente dispotico nei riguardi dei suoi molti dipendenti e collaboratori, giostrano tutta una serie di gustosi personaggi. C'è la sua giovane concubina Virginia, c'è l'oscuro e cinico dottor Obispo, che assieme al suo assistente si dà da fare per garantire, in attesa dell'immortalità, robuste iniezioni di ormoni al ricco priapo yankee; c'è un povero cristo di letterato inglese ingaggiato per lavorare a un'antica e importante carta e infine c'è l'inevitabile saggio del posto che ha una gran voglia di condividere con noi la qualità e la profondità delle sue riflessioni sull'esistenza e sui significati di tutto. In più d'un frangente la sensazione d'un misterioso déjà vu serpeggia e infesta la coscienza del lettore: giureremmo che non si tratti di reminiscenza letteraria, ma di eco della cronaca politica più recente e stupefacente. È il caso di dirlo.

Lasciate uno spazio nei vostri scaffali per questo libro. Ma non per le ragioni che avreste potuto pensare. Servitevene come d'un oggetto magico, indecifrabile, da fissare aggrottando le ciglia con lo sguardo del vecchio Doc di "Back to the Future". Grande Giove!

 Gianfranco Franchi, novembre 2010. Prima pubblicazione: BlowUp