Denaro

Denaro Book Cover Denaro
Charles Peguy
Piano B Edizioni
2011
9788896665299

“Oggi, quando si dice popolo, si fa della letteratura, una letteratura deteriore, elettorale, politica, parlamentare. Il popolo non esiste più. Tutti sono borghesi. Perché tutti leggono i giornali. Quel poco che rimaneva della vecchia, o meglio delle vecchie aristocrazie, è diventato piccola borghesia. L'antica aristocrazia, come le altre, è diventata una borghesia dei soldi. L'antica borghesia è diventata una borghesia squallida, una borghesia del denaro. Quanto agli operai, non pensano che a questo: diventare borghesi. Anzi, questo lo chiamano diventare socialisti. Restano solo i contadini a essere rimasti davvero contadini”, scriveva Charles Peguy in “Denaro”, negli anni Dieci del secolo scorso, raccontando l'avvento della malinconica, caotica e inquieta età moderna, e la deriva dolorosa della perduta essenzialità antica.

Una delle cose più belle, nei suoi ricordi dell'epoca precedente a quella dell'industrializzazione selvaggia, e dell'imborghesimento assoluto dell'occidente, è il racconto dell'atmosfera che Péguy ricorda d'aver respirato e vissuto sui posti di lavoro. Questa: “Si potrà anche non crederlo, ma noi siamo cresciuti in mezzo a un popolo allegro. A quei tempi, un cantiere era un luogo della terra in cui gli uomini erano felici. Ai miei tempi tutti cantavano. Nella maggior parte dei luoghi di lavoro si cantava. Oggi si protesta. A quei tempi non si guadagnava quasi nulla. Non si ha neppure idea di quanto fossero bassi i salari. Eppure tutti mangiavano. C'era, anche nelle case più umili, una specie di benessere di cui si è perduto il ricordo. Non si facevano conti. E non c'era bisogno di contare. Ma si potevano crescere figli”.

Insomma, si guadagnava poco, pochissimo, e si viveva con niente: non c'era nessuna cultura del comfort da accaparrarsi prima degli altri, e nessun mendace condizionamento all'acquisto di beni superflui o inutili. Non c'era nessuna intenzione di produrre in eccesso, non c'era nessuna voglia di drogare il mercato. C'era, semplicemente, la serenità di vivere la propria vita senza particolari sovrastrutture e senza indottrinamenti o costrizioni al possesso o all'acquisto di un bene. Si lavorava per vivere, non si viveva per lavorare e per aumentare le proprie ricchezze e in pubblico ostentarle.

Non c'era stata nessuna infezione capitalista borghese, per dirla con il chiaro lessico del pensatore francese. Nell'epoca in cui tutti, improvvisamente, parlavano di uguaglianza, era invece limpida la sensazione di vivere nella “più mostruosa ineguaglianza economica che sia mai esistita”. Oggi non c'è niente di diverso. Siamo ancora protagonisti e vittime dello stesso degrado etico, e della stessa abnorme speculazione economica.

Péguy ricorda che il lavoro, prima dell'industrializzazione selvaggia e della mutazione genetica borghese dei francesi, era un onore assoluto – e un piacere, allo stesso tempo. Ricorda con quanto amore e con quanta passione ci si dava al lavoro artigianale, memore dei sacrifici fatti da sua madre per crescerlo, vedova onesta, impagliatrice di sedie.

E Péguy ricorda che un tempo ci si dedicava al lavoro con tanta onestà e con tanta abnegazione non in previsione di un ritorno, economico o sociale o sentimentale, diverso e distinto dal solito, e dal comune: semplicemente, perché il lavoro doveva essere fatto bene in sé e per sé. Doveva servire, doveva funzionare, doveva tornare comodo ed essere dignitoso.

Il segreto per la serenità e per il benessere di tutti era rifugiarsi nella povertà: tutte le persone sapevano che chi si rifugiava nella povertà, nella povertà poteva trovare una sicurezza modesta ma completa: il pane quotidiano derivava dai semplici incastri dell'equilibrio economico di una società, e dalle virtù figlie della povertà. Virtù come saper star bene in una casa piccola e modesta: come conoscere le proprie necessità: come non desiderare niente che non serva. Péguy: “Abbiamo conosciuto, abbiamo toccato con mano un mondo (da bambini ne facevamo parte) in cui un uomo che si limitasse nella povertà era al contempo garantito nella povertà. Era una specie di tacito accordo tra l'uomo e il destino. Chi voleva giocare, poteva perdere. Ma chi non giocava non poteva perdere”.

Nell'era moderna, invece, le cose cominciavano a essere ben diverse. Vale a dire che spesso l'unica possibilità per non perdere era giocare: era rischiare. Svanivano tutele e difese: svaniva la prevedibilità, perduta era la pace e la bellezza docile della quotidianità.

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Péguy ribadisce che i lavoratori hanno cominciato a trattare il proprio lavoro come qualcosa di astratto, e cioè come un valore di borsa, perché la borghesia, tutto a un tratto, si è messa a trattare il lavoro dell'uomo come un valore di borsa. Certe menzogne, ben lo sappiamo, si pagano salate, e sempre più salate nel tempo: si pagano sotto forma di alienazione, di nevrosi, di infelicità, di scarsa lucidità; si pagano sotto forma di autodistruzione. Non sta bene. Non sta bene, ma l'umanità saprà risollevarsi. I semi che ha sparso il socialista e cristiano Charles Péguy stanno andando germogliando nel tempo, e nelle coscienze dei cittadini più sensibili e semplici: quando l'età moderna conoscerà l'agognato e atteso collasso sarà da un pensiero come il suo che potremo ripartire. Quindi, nutritevene per tempo. Non siatene facilmente sazi.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Charles Péguy (Orléans, Francia, 1873 – Villeroy, Francia, 1914), scrittore, poeta e saggista francese, caduto al fronte nella Prima Guerra Mondiale.

Charles Péguy, “Denaro”, Piano B, Prato, 2011. Traduzione di Martina Grassi. Collana “La mala parte”.

Prima edizione: “L'argent”, 1913.

Gianfranco Franchi, maggio 2011.

Prima pubblicazione: Lankelot.