Breve storia della bugia. Da Ulisse a Pinocchio

Breve storia della bugia. Da Ulisse a Pinocchio Book Cover Breve storia della bugia. Da Ulisse a Pinocchio
Maria Bettetini
Raffaello Cortina
2001
9788870786972

Il libro di Maria Bettetini (docente di Storia della filosofia medievale all’Università Cà Foscari di Venezia, studiosa dell’opera di Agostino da Ippona) è suddiviso in una prefazione e cinque capitoli, intitolati rispettivamente “La bugia: cos’è, come si dice, perché si dice”, “La bugia proibita”, “Elogio della bugia”, “Le bugie che hanno fatto la storia e le verità che hanno ingannato”, “La bugia che diverte”.

A dispetto del titolo (o provocatoriamente?), sin dalle prime battute della prefazione la Bettetini sostiene che questo libro non sia in realtà una storia della bugia, né una sua apologia, ma “un incontro con una figura che accompagna ogni aspetto del vivere sociale” (p. VIII): una panoramica attraverso “chi ne ha scritto, ne ha scritte, o ne ha dette nel corso della storia a noi nota” (p. VII). L’opera non dichiara pretese di esaustività: intende illustrare come, da sempre, si sia mentito. Vale la pena, per cominciare, richiamare l’annotazione della Bettetini, contenuta sempre nella prefazione, a proposito di chi asseriva l’inesistenza della bugia: Baruch Spinoza. “Non è possibile mentire in un mondo dove la verità delle cose è evidente, come recita l’Etica di Spinoza: «chi ha un’idea sa, contemporaneamente, di averla e non può dubitare della verità della cosa», la nostra mente è parte dell’intelletto di Dio, perciò «è necessario che le idee chiare e distinte della mente umana siano vere», e la volontà non potrà farle passare per false, perché la volontà e l’intelletto sono una stessa cosa (“Etica dimostrata con metodo geometrico”, propp. 43 e 49). Parere simile a quello degli Stoici, che di fronte all’inevitabilità dell’assenso del saggio alla rappresentazione vera, intendono la menzogna solo come un errore dell’insipiente, che si lascia ingannare dalle apparenze o dallo stesso saggio, forse bugiardo, ma solo in apparenza” (pp. VIII-IX).

Registrate queste prime eccezioni, accostiamoci al primo capitolo. Soffermandosi sulla definizione di “verità” di Tommaso d’Aquino, “adeguamento della cosa e dell’intelletto”, la Bettetini spiega di non voler trattare delle possibilità di trovare un adeguamento per l’intelletto e per la “cosa”, perché – scrive – dovrebbe in quel caso indagare se e dove esista un intelletto e se e dove esista la cosa, quindi stabilire in quali termini relazionarli, infine se questa relazione sia in grado di manifestarsi alla coscienza senza alterazioni, o con alterazioni determinabili: e dunque propende per l’analisi del tema della bugia, ossia l’inganno. Intende per inganno il “voler far credere” vero o falso ciò che vero o falso non si ritiene, indipendentemente dal fatto che lo sia davvero (p. 3).

Le posizioni della Bettetini riprendono la canonica accezione agostiniana dell’intenzionalità, come presupposto essenziale per riconoscere la menzogna. Nella prefazione, peraltro, la Bettetini aggiunge all’idea della “voluntas fallendi”, la volontà di ingannare, la “voluntas nocendi”, ossia la volontà di fare del male. La bugia appare come un atto di volontà di un soggetto libero (p. 4). Dopo un breve excursus sull’indagine della menzogna nelle opere di Aristotele, Agostino e Tommaso d’Aquino e un’interessante analisi della “riserva mentale”, escamotage secentesco che consentiva di “affermare il vero, sapendolo falso, ma avendo in mente un significato di quanto detto differente e veritiero” (p. 17) (si veda il discorso sulla dissimulazione, negli articoli dedicati a Torquato Accetto e Baltasar Gracián), la Bettetini passa a discutere la raffinatezza della “menzogna veridica” di Iago nell'“Otello” di Shakespeare, accostando la sua parabola all’episodio biblico dell’albero della conoscenza, teorizzando che il procedere di Iago “non sia che un’emulazione dell’astuto agire del serpente nei capitoli 2 e 3 della Genesi” (pp. 31-33): senza mentire, sa far cadere in inganno. Egualmente rilevanti e fascinose le riflessioni su Humpty Dumpty, personaggio eccellente di “Attraverso lo specchio” di Lewis Carroll: quando Humpty decide di usare una parola, essa assume il significato ch’egli preferisce, ma egli non può mentire e non può essere ingannato, perché non essendoci accordo sui significati è impossibile la comunicazione, e quindi l’inganno (p. 24).

Merita menzione l’analisi della quarta parte dei “Viaggi di Gulliver” di Swift, in cui viene descritto il viaggio del protagonista nel paese degli Houyhnhnm, cavalli parlanti e intelligenti che dominano gli Yahoo, una sorta di subspecie umana. Questi cavalli-stoici non sono in grado di riconoscere la menzogna, perché la reputano inutile e quindi, paradossalmente, impossibile: per loro si tratta sempre e comunque di un errore. E così, quando Gulliver viene riconosciuto come una creatura intelligente ed invitato a narrare la sua storia, egli racconta di provenire da un luogo che ai loro occhi non esiste: e dunque, per i cavalli Gulliver non mente, ma semplicemente sbaglia. Inutile aggiungere che questi cavalli non abbiano nemmeno la più vaga idea di cosa siano i libri e la letteratura.

Nel secondo capitolo, la Bettetini si sofferma sulle proibizioni e sulle inibizioni a mentire, dedicando numerosi stralci alla letteratura sacra; paradossalmente, tuttavia, le prime pagine della sezione sono dedicate al “profano” esempio del “Pinocchio” di Collodi. Prima osservazione penetrante contenuta nel capitolo è legata all’interpretazione del comandamento che impone di “non rendere falsa testimonianza”, e non di “asserire il vero”: la Bettetini suggerisce che significhi una proibizione a dire altro rispetto a quanto si è convinti di avere visto o udito, e di dirlo ad altri contro altri: “Dio non chiede di conoscere il vero (come invece era richiesto ai seguaci di Platone, o era inevitabile per gli Stoici), ma di non perpetrare quell’atto di violenza che è l’inganno, ancora una volta indipendentemente dalla corrispondenza tra quanto si ritiene di aver visto o udito o comunque saputo e la verità della cosa vista, udita, saputa” (p. 39).

Un avversario dei cristiani, come Celso, nel II secolo affermava che “l’inganno e la menzogna sono in ogni caso un male” (“Discorso Vero”, IV, 18): Celso ritiene inoltre che la bugia sia lecita, scrive la Bettetini senza indicare il passo, nel caso si abbia a che fare con uomini pazzi, o deliranti, o con dei nemici, ma solo per sfuggire ad un pericolo: e ciò a differenza dell’intransigenza nei confronti della menzogna espressa dai Padri della Chiesa (cfr. “Contra mendacium” di Agostino). Interessante, poche pagine più avanti, la riportata distinzione di Ambrogio tra “simulatio”, inganno perpetrato con opere, e “mendacium”, bugia espressa con parole (p. 45).

Tra gli autori moderni, la Bettetini dedica ampio spazio a Huig Van Groot, ossia Ugo Grozio, reputato fondatore del giusnaturalismo. “Secondo Grozio, la menzogna lede sempre e comunque il diritto alla conoscenza, «diritto permanente ed esistente di colui al quale sono diretti parole e segni». Nell’opera 'Prolegomeni al diritto della guerra e della pace' (1621), si legge di una «mutua obbligazione al vero» che definisce la bugia come inammissibile perché è in conflitto con un diritto altrui e quindi lede un principio di giustizia. Inoltre, per Grozio, se la bugia si diffondesse il linguaggio perderebbe senso: «Come se per tacito accordo si intendesse che i parlanti contraggono un impegno verso coloro con cui parlano; e senza tale obbligazione l’invenzione del linguaggio sarebbe stata priva di scopo»” (pp. 52-53).

La confutazione di questa tesi è semplice, dacché presuppone che chi mente affermi realmente il falso, mentre chi è sincero comunichi regolarmente la verità: la Bettetini, appunto, ricorda che la menzogna si fonda sull’intenzione di ingannare, indipendentemente dalla veridicità del contenuto. La conclusione di questa sezione è dedicata alla discussione della intrinseca cattiveria non già del dire ciò che non si ritiene vero, ma della volontà di far del male tramite la menzogna.

Il terzo capitolo è dedicato alle attestazioni meno negative, o addirittura apologetiche, della menzogna. Nei primissimi paragrafi la Bettetini dedica una breve ed erudita digressione ai cretesi, ritenuti i mentitori per antonomasia sin dalla famigerata battuta di Epimenide di Crosso del VII secolo avanti Cristo. La Bettetini, ricordando come sin dal II secolo a.C. fosse testimoniato l’uso del verbo “kretizein”, nel senso di “creteggiare”, ossia di mentire, s’avvia in una digressione sulla considerazione della menzogna nella cultura greca. La singolare presenza di un dio protettore dei ladri come Hermes e di una straordinaria figura letteraria d’un ingannatore, come Odisseo, salutato come ingegnoso e lodato dalla dea Atena per l’abilità nella menzogna, sembra enfatizzare la considerazione, avulsa da eccessivi moralismi, che si doveva avere per l’arte dell’inganno. Notevole inoltre la presenza della dea Metis, l’astuzia dei greci: “figlia dell’oceano, è la dea delle tante abilità, degli artisti capaci di far tutto, dell’intelligenza versatile, capace di mentire e di essere creduta sempre, anche senza avere altri fini oltre alla menzogna stessa” (p. 68).

Nella discussione del legame tra bugia e sacralità, un paragrafo è dedicato al trickster, una sorta di spiritello ospitato dalle mitologie africane ed americane. Il trickster inganna egualmente gli uomini e le divinità: si presenta sotto forma di animale ed ha una smaccata propensione all’immoralità. Maestro nella menzogna, è in grado di esibire poi una stupidità o un’ignoranza posticcia inintelligibile. Irriverente e indisponente, è tuttavia una creatura di natura divina che regala all’uomo l’opportunità di penetrare le contraddizioni di cui lui stesso è spesso prima causa (p. 74). Non manca una sezione riservata alla prima novella del Decameron: per una sua analisi completa è più opportuno rinviare allo studio dell’Almansi indicato in bibliografia. Interessante, più avanti, il parallelismo tra il fool, cioè il giullare, ed il coro della tragedia antica: “La veridicità è concessa solo al pazzo(…) il fool, il giullare che si può permettere di prendere il ruolo che nella tragedia antica era del coro e del veggente, ossia commentare e narrare i fatti senza reticenza” (p. 79). Ampio spazio è riservato ai trattati secenteschi, dal “Galateo” di Giovanni della Casa sino alla “Dissimulazione onesta” di Torquato Accetto.

Il quarto capitolo discute la menzogna nel linguaggio giuridico e nella stesura di documenti storici falsi, come la Lettera del Prete Giovanni o la Donazione di Costantino. Il quinto, infine, rappresenta la conclusione dell’incontro con la bugia della Bettetini. Attraverso un personalissimo percorso, che dalla dottrina di Gorgia e Parmenide perviene a Wilde, attraverso Shakespeare e Dylan Dog di Tiziano Sclavi, giunge a sostenere: “La menzogna letteraria costruisce un universo, degli dei, delle vite, dei morti – scrive a proposito della “Letteratura come menzogna” di Manganelli – Ma per questo non è una qualunque forma di menzogna, è una menzogna dichiarata, accettata, e, soprattutto, ben limitata. Un personaggio letterario ha determinate caratteristiche, ma le ha solo nei limiti di un contesto finito, che ammette interpretazioni idealmente infinite, ma non integrazioni idealmente infinite sullo stesso piano della descrizione letteraria (…) È dunque l’autore che confeziona il mondo al quale ho avuto accesso, e precisa i limiti, attraverso suggerimenti o chiare descrizioni, entro i quali la mia fantasia o il mio vissuto potranno a loro volta costruire per aggiungere, per rifinire, per, appunto, “chiudere” l’opera” (pp. 136-137).

La Bettetini afferma allora pacificamente la natura menzognera della letteratura: come unico limite, pone quelle che potremmo, in un certo senso, nominare coordinate geografiche poste dall’autore. L’immaginazione del lettore può esserne irrimediabilmente condizionata: e tuttavia, sempre si tratta di una libera scelta di adesione ad un universo fittizio. Comprensione e adesione ad un mondo che finalmente è libero di dichiarare d’essere menzogna: dove, infine, un’ipotetica libertà assoluta non è più utopia.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Maria Bettetini (Milano, 1962 - Milano, 2019), docente di Storia della Filosofia Medievale all’Università Cà Foscari di Venezia.

Maria Bettetini, “Breve storia della bugia”, Cortina, Milano 2001.

Gianfranco Franchi, settembre 2002.

Articolo originariamente integrato nella tesi di laurea “La menzogna nella letteratura del Novecento”. A ruota, su Lankelot.