Autore ignoto presenta

Autore ignoto presenta Book Cover Autore ignoto presenta
Antonio Delfini
Einaudi
2008
9788806192464

“La realtà è in gran parte nell'assurdo, in quell'immaginazione che è a un passo per diventare realizzazione, ma non lo diventerà mai. Nella vita in fondo la realtà non esiste. La vita è piena di piccole cose inspiegabili, come il tempo che si misura ma non se ne può afferrare una porzione tra un punto e l'altro mentre la viviamo” (Delfini, “La Vita”, in “Oggi”, 1933; p. XVIII “Autore ignoto presenta).

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“Autore ignoto presenta” è una raccolta di racconti di Antonio Delfini curata da Gianni Celati, completa d'un bel saggio di Irene Babboni. Il titolo è un omaggio a una stravagante strategia autopromozionale dell'artista modenese, datata 1931: nei giorni della Fiera del Libro di Modena, presentò un volantino con la scritta “Autore Ignoto Presenta”, accompagnato da queste battute: “Questo autore ignoto che vi si presenta è quasi certamente un imbecille. Però voi non ne siete sicuri. Prendetevi la soddisfazione di dare dell'imbecille a uno sconosciuto con documenti alla mano. Acquistate le mie pubblicazioni!” (pp. VI-VII). Erano anni in cui sapeva essere goliardico e provocatorio, senza piombare necessariamente nella malinconia, come nel tempo sarebbe capitato più spesso.

Incipit della raccolta è “Musica in piazza” (prima edizione nella rivista “Lo spettatore italiano”, 1928): laddove leggiamo che l'inno di Mameli raccontava, allora come oggi, che “nel silenzio dei secoli passati e nel mistero di quelli futuri, per l'Italia c'è sempre tutto da fare. Non si finirà mai. Così è per tutte le grandi cose: non finiscono mai” (p. 5); e accompagniamo Delfini ragazzino ad ascoltare la banda, in paese, e a emozionarsi col nonno per gli inni garibaldini. Idealmente, va accompagnato a “Storia d'amore intorno a un quaderno smarrito” (1963), già apparso nei “Racconti” di Garzanti col titolo “10 giugno 1918”, sorta di antefatto a un romanzo mai scritto – leggo in nota – nonostante le trattative con l'editore milanese fossero ben avviate. Garboli aveva già capito tutto: “Ebbi la sensazione che non l'avrebbe mai finito”, commentò a suo tempo, senza stupirsi troppo che il primo capitolo del libro fosse diventato un racconto. Secondo la Babboni, in ogni cosa “è una delle più belle cose che Delfini abbia mai scritto. E in esso è forte il respiro di una compiutezza assoluta: la fine di un'esistenza” (p. 364). Almeno quella, termina.

Passiamo a “Ritorno in città”: con questo titolo intendiamo sia il racconto (prima edizione, 1928) che il volume eponimo (prima edizione, 1931). Sono poesie in prosa; ne abbiamo parlato poco tempo fa, leggendo assieme “Vagabondaggio primaverile e altre prose” (Via del Vento, 2007). Possiamo aggiungere che in questa edizione c'è “Giorni di festa”, satira di quei momenti in cui la gioia collettiva ti fa sentire solo e malinconico, e “anche i passerotti avevan la vocina fioca”, e apparivano strane e sinistre figure; e poi c'è “L'aviatore”, che sembra un omaggio molto limpido a Saint-Exupery, perché è la storia di un pilota che cadendo sogna di tornare a vivere nelle stelle da cui proveniva. Peccato sia stata scritta prima del 1944, così com'è sembra più una premonizione; della premonizione ha tutto il fascino.

Veniamo a “La vita”, apparso sul mensile di Pannunzio “Oggi”, nel 1933. Incipit bruciante e quotidiano, alla Delfini: “Bisogna adattarsi ai fatti alle cose alle persone, che ci avvengono e ci vivono intorno. Interessante, farne un divertimento un dolore una noia, la vita insomma”. Il resto è qualche pulcinellesca, attualissima bastonata alle patrie lettere – meglio: al comportamento e allo stile dei letterati – e un pizzico di satira esistenzialista.

“Se io sapessi scrivere racconti... (Note prese in un caffè)” è una serie di appunti tratti dai “Quaderni” dell'artista; sembra siano datati 1936-1937. Spicca un favoloso “meglio soli che bene accompagnati”. “Ricordi letterari” (1939) viene da un altro dei quaderni dell'artista; è uno sketch non particolarmente memorabile. Passiamo finalmente ai dieci racconti de “Il ricordo della Basca” (1938): sono storie semplici, a volte di letterati, a volte di giovanotti benestanti e debosciati, a volte di amorazzi clandestini; Delfini le tratteggia con grazia e immediatezza, e con dolcezza da poeta. Difficile stabilire (riconoscere) uniformità diversa da quella stilistica. Passa la voglia dopo un po', perché Delfini t'addomestica e ti porta via con sé.

Il “Racconto non finito” (1949) doveva chiamarsi “Racconto triste”, ma l'artista s'era persuaso, col passar del tempo, che non poteva terminare un progetto per il quale non nutriva più nessun interesse; e così aveva preferito chiamarlo “non finito”. È un balocco completo di omaggi al suo amico Enrico Pea, storia d'un amore impossibile e sbagliato. “Una singolare avventura” (1952) è un brevissimo divertissement autoreferenziale, in cui Delfini ammette di essere sul punto di iniziare un libro per la centesima volta, convinto di non riuscire nemmeno in questo caso a portare a termine il progetto, e in cui si lamenta della decadenza della nazione post 8 settembre 1943, nonostante il fascismo abbia “veramente ucciso l'Italia” (p. 207).

“Il Ricordo del Ricordo” (1956) rimane alla storia per un incipit memorabile: “Se avessi avuto altri amici, o non li avessi avuti affatto, sarei diventato un grande narratore, prima della caduta del fascismo; e dopo lo sarei rimasto. Ma è più probabile che se non avessi avuto gli amici che ho avuto, io non avrei mai scritto un racconto o un quasi racconto”. È un memoir, più politico che sentimentale, di un intellettuale che sembra non aver avuto nessuna ammirazione per il fascismo e nessuna fiducia nell'antifascismo; e questo non per via della sua antica tessera, addirittura ante-regime (1920), ma per via d'un vago regionalismo, d'un sogno snob di ritorno ai regni localissimi, d'un desiderio inesauribile di distinzione che sembra aver dato vita, stando a quanto ci racconta AD, al “Ricordo della Basca”. Qui si svela il suo mistero.

“Verso la libertà” (1957), ultimo pezzo, racconta “di noi fascisti ribelli e liberali, non ancora e mai antifascisti (poiché, se già fascista voleva dir poco, e niente, antifascista significava meno di niente)” (p. 327) e del loro sogno di rinnovamento e di libertà; massacrato dalla democrazia cristiana, e dal semplice cambio di bandiera di vecchie personalità del regime. La speranza tratteggiata dall'artista significa arrivare “a tacere stando fermi, arrivare a fermarsi tacendo. Questa è la speranza. Non pensate alla Chimera. […] La Chimera non è, non sarà...” (p. 331) – conclude, amaro.

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Scriveva Garboli che Delfini era uno che giocava con la scrittura, non si prendeva sul serio “neppure con una sofferenza emotiva al diapason”, stabilendo così un “distanziamento parodistico dal pathos delle proprie parole – per cui 'non si sa mai con esattezza se riferisca l'emozione che sta provando o se la sua emozione consista soprattutto nel piacere di riferirla'” (p. XXIII).

Allora... perché Delfini rimane un narratore poco letto? Gianni Celati ha una teoria: “Ciò dipende in parte dal fatto di non aver mai scritto un regolare romanzo di successo – genere sacramentale che incorona lo scrittore arrivato (per quanto bolso possa essere). Poi, se i racconti del 'Ricordo della Basca' rinnovano l'arte della nostra novella, gli altri suoi libri non appartengono a nessun genere ben definito – cosa che mette a disagio il lettore medio. Sono passeggiate fantastiche (le prosette del 'Ritorno in città'), parole in libertà che fanno il verso alle 'scritture automatiche' surrealiste ('Il fanalino della Battimonda'), discorsi d'occasione o racconti falliti per caduta d'interesse (le prose del volume 'La Rosina perduta'), proclami politici così strani da sembrare senza né capo né coda ('Manifesto per un partito conservatore e comunista'), invenzioni storico-personali così esaltate da sembrare mattoidi ('Modena 1831'), poesie così disperate che fanno scappare via i lettori ('Poesie della fine del mondo'); e pezzi diaristici, poesie, sfoghi, abbozzi di racconti, progetti di riviste, che formano un libro eccezionale, ma neanche messo insieme dal suo autore (i 'Diari', curati dalla figlia Giovanna con Natalia Ginzburg, per l'editore Einaudi nel 1982) [...]” (p. X). Peccato per l'assenza di questo romanzo? Proprio no.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Antonio Delfini (Modena, 1908 – Modena, 1963), poeta e scrittore italiano.

Antonio Delfini, “Autore ignoto presenta”, Einaudi, Torino 2008. Racconti scelti e introdotti da Gianni Celati. Con un saggio di Irene Babboni. Collana “Letture Einaudi”, 15.

Approfondimento in rete: Ilde Menis segnala: ottima ed esaustiva la voce di Wikipedia qui / a completamento, una interessante disamina della poesia di Delfini ad opera di Francesco Mandrino, qui

Gianfranco Franchi, marzo 2010.

Prima pubblicazione: Lankelot.

“è passata una carrozza con dentro un signore ben vestito / un venditore di frutta / una vecchia che sembrava una bambina / un giovanotto che strascicava i piedi come un vecchio / un teatrino con le scene rosse e i burattini dentro. /Poi sono passati tutti i desideri della mia anima”. (Delfini, “Attesa”).

Notevole raccolta di racconti di Delfini, scelti e introdotti da Gianni Celati.