Arte e follia in Adolf Wölfli

Arte e follia in Adolf Wölfli Book Cover Arte e follia in Adolf Wölfli
Walter Morgenthaler
Alet Edizioni
2007
9788875200237

Rapporto medico tra arte e follia: impossibile che non torni alla memoria il grande studio del Lombroso de “L’uomo di genio”, impegnato a dimostrare similitudini, analogie e rapporti esistenti tra genio e follia, fondandosi spesso – ecco un limite, tacendo delle avventurose teorie razziali – su notizie biografiche ricavate da fonti non del tutto attendibili, per non dire filologicamente sciagurate; per cui poteva, ingenuamente, mettere su uno stesso livello un poeta greco della classicità e Torquato Tasso, per intenderci. Circa trentacinque anni dopo la pubblicazione delle sue teorie, delle sue congetture e delle sue interpretazioni sul rapporto tra creazione artistica e nevrosi e disturbi della personalità, lo psichiatra svizzero Walter Morgenthaler, come nulla fosse e fondandosi su ben altra e germanofona bibliografia scientifica, pubblica notizie sullo strano caso di Adolf Wölfli, contadino internato per schizofrenia dopo doppia carcerazione per pedofilia, rivelatosi formidabile pittore e illustratore, torrenziale scrittore e indecifrabile compositore, a dispetto d’una formazione scolastica appena elementare.

L’impatto è – dal punto di vista scientifico – non del tutto innovativo e non sempre convincente: Morgenthaler spesso smette i panni dello psichiatra per mascherarsi da critico letterario, con esiti caratteristici e divertenti ma non eccezionalmente rilevanti; d’altra parte, quasi mezzo secolo prima Lombroso aveva pubblicato ampi frammenti di opere di poesia e prosa dei suoi alienati, addirittura talvolta donati da Carlo Alberto Pisani Dossi, incuriosito dallo stesso fenomeno; e stesso approccio e stesso entusiasmo aveva dimostrato nei confronti della straripante sensibilità estetica e della almeno discreta resa di quelle opere. Perché, quindi, questo libro si rivela affascinante e necessario?

In prima battuta, perché si concentra su uno e un solo paziente, e l’analisi è meticolosamente fondata su lui e lui soltanto; quindi, perché si tratta d’un paziente che ha inciso il suo nome nella storia dell’arte del Novecento; infine, perché s’è trattato d’un misterioso, geniale artista precursore. Spiega Michele Mari nell’introduzione: “Immaginiamo un uomo non americano che trentadue anni prima di Andy Warhol metta in un quadro l’immagine fedele di una lattina di zuppa Campbell’s (…); che questa lattina non sia un caso, ma rientri in una tecnica di contaminazione di ritagli pubblicitari e disegno che anticipa di decenni l’intero corpus della pop art; immaginiamo che lo stesso uomo, senza mai essere stato in Francia (…), componga calligrammi serpentiformi alla Apollinaire (…), preceda Picasso nel recupero del primitivismo e disegni volti che sono simultaneamente di fronte e di profilo; (…) che scriva giochi di parole degni delle filastrocche di Lewis Carroll o dei limerick di Edward Lear” (p. 13).

Questo libro è uno dei primi e migliori casi di “propaganda psicotica”: per la prima volta, uno psichiatra pubblica nome e cognome d’un paziente internato, perché lo considera un artista e non vuole che le sue creazioni vadano mescolate con quelle degli altri alienati, negli archivi o nei musei ad hoc.

D’altra parte non sembra incredibile che un manovale dall’infanzia dolorosa e complessa, alcolista, violento e pedofilo e privo di qualunque istruzione, sia riuscito in tutto questo? Qual è la ragione?

1921. Morgenthaler indaga la vicenda del paziente Wölfli, internato nel manicomio di Waldau sin dal 1895: considerando le sue creazioni non un sintomo della pazzia, come Lombroso coi suoi alienati, ma autentiche opere d’arte. Prima del manicomio, non scriveva, non disegnava: non è stato, come suggerisce Mari, prima artista e quindi pazzo (come Tasso, per intenderci, o come Dino Campana); ma pazzo, sino alla distruzione della logica, e infine e inspiegabilmente artista. Lavoratore indefesso e instancabile, dal 1899 passa da un disegno all’altro, e da uno scritto all’altro, senza sosta; disperando solo dell’assenza dei materiali, carta e matite e pastelli colorati. Ne deriverà una produzione narrativa biografica di 45 volumi, oltre 25.000 pagine, e molte migliaia di disegni. Quando non creava, “senza piacere” ma con freddo entusiasmo, aveva nuove crisi di bestiale aggressività, allucinazioni audiovisive, manie di persecuzione e via discorrendo. L’arte era, quindi, il suo calmante e la sua unica via d’interazione con l’alterità. Considerava le sue creazioni con scostante soddisfazione; come opere di genio o come opere da tre franchi, oppure come deliri di un pazzo (p. 59) privi di senso. Le sue prime opere sono andate perdute, distrutte dall’autore o dagli altri pazienti; purtroppo è impossibile compararle alla produzione successiva e più matura, per vagliarne similarità e difformità.

Le notizie sulla sua famiglia sono scarse, difficilmente verificabili e raccolte, spesso, esclusivamente sulla base delle sue testimonianze. Pare appurato che il padre fosse un taglialegna con due gravi vizi, l’alcol e le puttane; sparì presto, tra crimini e prigionie. La madre, lavandaia, lasciò orfano Adolf a otto anni; dei fratelli non si riesce a stabilire nemmeno il numero. Adolf venne affidato, secondo il costume dell’epoca, ad altre famiglie che lo impiegavano nel lavoro nei campi, come servo agricolo. Piangeva la perduta madre, si ritrovava spesso battuto e umiliato dai padroni; intanto lo avviavano all’alcolismo, in tenera età. Dopo una grave malattia polmonare diventa meteoropatico e il suo umore muta con eccessiva rapidità. Tre vicende sentimentali infelici, nell’adolescenza, aggravano la sua melanconia e la sua irritabilità; l’onanismo aumenta il nervosismo e l’inquietudine. Nel frattempo, Wölfli passa da una mansione all’altra, perdendo spesso per il lavoro per via di periodiche assenze: quando è in vena, è lavoratore indefesso e apprezzato, addirittura troppo esigente nei confronti dei sottoposti, nei cantieri o nei campi.

In generale, le testimonianze raccolte da Morgenthaler, molti anni dopo, si riferiscono a chi lo giudicava da sempre mezzo matto, grossolano e collerico, pur non negando lo spirito di sacrificio; si concorda sulla dipendenza dall’alcol, a un tratto sconfitta, e sulla tendenza all’isolamento. Dopo nuove crisi, un tifo mal curato e nuove, esecrabili condizioni di povertà e miseria, comincia (1890) a mostrare attenzioni particolari nei confronti delle minorenne. Prima una quattordicenne, poi una cinquenne. Non riesce ad andare oltre uno stadio voyeuristico, in entrambi i casi: tuttavia viene scoperto, arrestato una prima volta, liberato, colto nuovamente in flagrante con una bambina di tre anni. Finalmente internato a Waldau, appurata la sua instabilità mentale e la sua pericolosità, vi rimarrà sino al termine dei suoi giorni. Morgenthaler evidenzia tre fasi nella sua malattia: la prima, durata circa cinque anni, sin quando non comincia a disegnare, è caratterizzata da accessi violenti, crisi impulsive, aggressività, manie di persecuzione, depressione, allucinazioni audiovisive (dal secondo anno), bruschi sbalzi d’umore, distruzione degli oggetti nella sua cella e altrove, pestaggi. Curiosamente, frantumando le finestre, non fuggiva.

Nella seconda fase (1899-1917), quella dei disegni e della scrittura, Wölfli instancabilmente crea. Ha ancora crisi, è collerico e aggressivo; patisce multiple allucinazioni, tendenzialmente al risveglio e durante la notte: purtroppo non sempre si tratta di allucinazioni erotiche, quindi si sente spiato, umiliato e stuzzicato. Tuttavia, progressivamente, l’esercizio artistico lo mitiga e lo placa: l’invenzione di mondi fantastici, di viaggi interplanetari, di un Dio che coincide spesso col padre e lo guida alla scoperta del mondo, d’un’infanzia felice e ricca di esperienze favolose, tra le stelle, spendendo triliardi e triliardi delle monete che ha inventato, lo distaccano dalla coscienza della realtà. Sente il disegno e la scrittura come missioni: non prova piacere, si spegne dedicandosi a quelle sole attività; riempie i fogli in ogni spazio, mostrando discreto horror vacui, e prende ispirazione dalle riviste che circolano nel manicomio e dagli atlanti e dai pochi testi che può consultare. Conia parole nuove, forgiandole sulla base dei termini stranieri che incontra nelle sue letture, spesso mutandone senso e significati. Inverte e sostituisce le consonanti di due parole analoghe, mostra grande sensibilità nei confronti del ritmo: spesso passa, senza soluzione di continuità, dalla prosa alla poesia, mostrando fedeltà al suono. Ha una scrittura non estranea al misticismo, pretende Dio e talvolta crede d’essere Dio. Si firma Imperatore o Beato. È una prosa caratterizzata da ripetizioni e contraddizioni: il titolo è “Dalla culla alla tomba”. La lingua è definita da Morgenthaler greve, magniloquente, ridondante e pomposa, quando burocratica quando “biblica”, innervata da una punteggiatura erronea o creativa, dall’inserimento di nuovi numeri (il maggiore è Oberon: diventerà “Zorn”, rabbia) oltre il quadriliardo; è ossessionato dal gigantismo, città giganti, torri giganti, fontane giganti, e via discorrendo. È uno che sente di morire e poter risorgere a ogni istante; scrive genesi nuova (Orfeo assieme a Dio) e gerarchie divine.

Nella terza e ultima fase, pure ancora in isolamento, viene trasferito in una nuova camera assieme a tutti i suoi scritti e ai suoi disegni. È il 1917. Diventa addirittura socievole, e mostra gentilezza nei confronti dei malati. Le allucinazioni non sono svanite: interagisce con queste voci litigandoci.

Mendica mozziconi di matita e fogli di carta dappertutto. Se non ha matite colorate a disposizione, scrive la sua autobiografia fantastica; se invece manca la matita nera e sta scrivendo, si serve dei pastelli colorati per scrivere. Sente di “dover fare”: la sua è una creatività che nasce dalla percezione di “necessità”. È applicazione e disciplina, senza godimento. Non sa mai cosa disegnerà prima d’aver intrapreso l’opera: Morgenthaler scrive che “pensa con la matita”. Non ha “ispirazioni”: sostiene di aver trovato tutte quelle immagini nei suoi viaggi nell’Universo, per ordine di Dio.

Lo psichiatra, nelle ultime battute, torna a investigare la sua biografia considerando che tutti i sintomi sono quelli di una schizofrenia paranoide; Wölfli è sceso dal personale al sovrapersonale (p. 135), attingendo alle “immagini primigenie” e alla “intuizione originaria” cara a Jung. Introverso sino all’autismo, infantile e caratterizzato da una fantasia straripante, come molti artisti. Il mistero quindi è così sintetizzato: ogni artista ha comportamenti e tratti della personalità in comune con un pazzo, e un pazzo può diventare artista, a condizione di mantenere “metodo” e “ordine” nella classificazione delle sue opere, e nella loro percezione organica. A quale prezzo? A condizione di distruggere la realtà, di dimenticare la sua condizione e il suo stato, di ritrovarsi imprigionato e incapace di fuggire, tornando in un utero mitico, bombardato da pagine di riviste e da qualche libro che diventa seme per elaborazioni e creazioni nuove, talmente distanti da quel che mode, tendenze e accademie vanno proponendo e insegnando, talmente libere e anarchiche, da potere – per accidente, non per calcolo, e senza metodo – andare al di là del presente.

Morgenthaler non ha individuato, come nessuno in precedenza e nessuno sino ad oggi, il pulsante magico, l’innesco automatico della creazione artistica (di genio). Ha stabilito, migliorando le osservazioni di altri studiosi della psiche, analogie e similarità tra la follia degli psicotici e lo stato dell’artista pre, intra e post creazione: è un ulteriore passo avanti nella comprensione del dna dell’arte, del suo misterioso distacco dalla realtà: nella percezione dell’esistenza d’una grande fonte comune, all’ombra della quale s’attinge, e si può attingere a oltranza. Quell’acqua tuttavia non disseta, e piuttosto asseta: t’eleva ma t’estingue, senza pietà. Ti priva della realtà, cancellandone confini, dettagli, sfumature: spazza via quel che è, t’inonda di immagini e suoni, ti costringe a scolpirli e fermarli, in un tempo al di là del tempo. È fuoco freddo: comunque, brucia.

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Walter Morgenthaler (Ursenbach, Svizzera, 1882 – Muri, Svizzera, 1965), psichiatra svizzero.

Walter Morgenthaler, “Arte e follia in Adolf Wölfli”, Alet, Padova 2007. Traduzione di Alessandra Pedrazzini. Con uno scritto di Michele Mari.

Appendici: Biografia, Cartella Clinica, Tavole, Bibliografia critica.

Prima edizione: “Ein Geisteskranker als Künstler (Adolf Wölfli)”, Berna, 1921.

Gianfranco Franchi, agosto 2007.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Una delle migliori scelte di Barillari per la Alet Edizioni…