Albacete

Albacete Book Cover Albacete
Stefano Gallerani
Lavieri
2012
9788896971116

“Nel racconto moderno il personaggio non esiste, esistono solo delle figure e dei fatti che non sono mai esattamente identificabili con i soggetti o gli oggetti della scena originaria; ci sono lotte o sconfitte, ma sono prive, quasi totalmente, di senso e di sesso: sono interni con figure. Anche il nostro protagonista, neppure lui è qualcuno in particolare, non rappresenta un'idea specifica, non è un simbolo: niente” [Gallerani, “Albacete”, Sesto, p. 39].

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Quattordici frammenti danno vita alla calligrafica ed ermetica opera prima del letterato Stefano Gallerani: il critico letterario romano, nato giusto a metà dei controversi, cupi anni Settanta, esordisce come narratore pubblicando, per la piccola e aristocratica campana Lavieri, il suo “Albacete”: un'intimista, personalissima sequenza di prose brevi. Capire cosa colleghi questi quattordici pezzi mi è risultato, onestamente, vano: a volte ho pensato che una suprema forma di riserbo, o una qualche inattesa timidezza, abbiano evitato di stabilire più netti meccanismi di riconoscibilità; e per questo ho congetturato che qua e là si fosse dalle parti di un claudicante memoir. Volutamente claudicante, si capisce. Ma al di là delle congetture poco è rimasto; niente di lineare, rapsodicamente qualcosa di famigliare a collegare una parte e un'altra della raccolta. Il titolo va omaggiando la meravigliosa pazzia del cavaliere della Mancha: “Albacete” significa “la pianura”, in una lingua antica. Questa pianura è forse una piattaforma dell'immaginario gallerano – infestata da spettri di amori perduti e di passioni mai dimenticate, solcata da legami famigliari profondissimi, da ottocenteschi omaggi alla passione erotica, da tanta maniera. Forse. Questo perché “forse il tempo è soltanto un'illusione dei sensi e noi, vivendo, non facciamo altro che ripetere ciò che è già successo in un'altra misura del mondo o riscoprire ciò che è stabilito definitivamente, nell'eternità” [“Primo”, p. 9]. Chissà.

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La scarsa uniformità di “Albacete” a volte diventa irritante, a volte sembra gratuita, altre volte diversamente si rivela divertente, e addirittura attraente, quantomeno perché nel vecchio lettore subentrano rimossi istinti enigmistici, genetiche illusioni di superiori capacità di simulazione dell'alterità, e quindi di comprensione, nostalgie dei “Fiori per Algernon” di Keyes [“Decimo”] e via dicendo. A dominare l'esperienza estetica, tuttavia, la sensazione d'avere sottomano quattordici prove di stile di un calligrafo: “Non rammento bene le cose di quel tempo, forse perché le vedevo come può vederle la larva nel bozzolo, ancora incapace di venire alla luce, attraverso un involucro che ne dà un'espressione, e un'impressione, deformata e magica, ma mi incanta quella libertà solo intravista, quella maturità solare che avvertivo durante la lenta elaborazione, così come si hanno, ancora attaccati al seno materno, certe immagini del mondo dei grandi” [“Terzo”, p. 20].

Su “Alias”, Cecilia Bello Minciacchi ha scritto che in “Albacete” “domina la voluttà della letteratura e dello scavo nelle ossessioni del soggetto, nelle sue facce spiegate, piegatura per piegatura. Se assimilazione del mondo c'è, qui, passa per letteratura, è la letteratura, non mediatrice astratta ma entità carnale”.

Sul “Messaggero”, Enzo Di Mauro ha osservato che per Gallerani lo stile “altro non è che la sua vita stessa ovvero lo stigma del suo fantasticare, del suo immergersi nella corrente sottile che separa il confine tra veglia e sonno”; mentre in una breve nota apparsa sul “Corriere della Sera” di Roma s'è parlato di racconti che “escono dall'idea disabitata del Romanzo, tracciano un camminamento dentro il doppio e la follia”. La sensazione, al 6 febbraio 2013, e in attesa delle illuminanti osservazioni di uno dei massimi critici letterari italiani, forse il migliore di noi, vale a dire Andrea Cortellessa, è che nessuno abbia trovato la chiave di lettura di questo libro, misterioso o forse semplicemente nebuloso, probabilmente eccessivamente autoreferenziale, fondato su un'idea di scrittura che emozionerà gli appassionati dei racconti barocchetti e leziosi di Giovanni Mariotti: in me è rimasta la sensazione di un letterato pieno di sentimenti e di ispirate e insolite reminiscenze, incapace, sin qua, di plasmare un'opera degna delle sue vere potenzialità. Come osservare un grande nuotatore che decide di nuotare con un movimento tutto suo, leggermente rumoroso, tanto faticoso, vagamente inconcludente.

“Quello che viene pubblicato (e quel che è stato già pubblicato) non mi riguarda più: è accaduto un secolo fa, un'eternità addirittura, quando ogni illusione fioriva liberamente in me, che sono sempre stato un cattivo scolaro: distratto, approssimativo, pigro e volubile. Quello che viene pubblicato mi ha preso la mano: è assurdo che uno possa parlare così a lungo e che altri stiano ad ascoltarlo così tanto tempo” [“Nono”, p. 59].

EDIZIONE ESAMINATA e BREVI NOTE

Stefano Gallerani (Roma, 1975), giornalista e scrittore italiano. Questa è la sua opera prima. Collabora con “Alias”, “L'Illuminista”, “Il Caffè Illustrato”.

Stefano Gallerani, “Albacete”, Lavieri, S. Angelo in Formis, 2012. Collana “Arno”, 14. ISBN, 9788896971116.

Gianfranco Franchi, febbraio 2013.

Prima pubblicazione: Lankelot.

Quattordici frammenti danno vita alla calligrafica ed ermetica opera prima del letterato Stefano Gallerani